Il Sole 24 Ore

ALGORITMI, EPISTEMOLO­GIA ASSOCIATA ALL’ETICA

- Luca De Biase

Si parla molto di etica dell’ intelligen­zaartifici­ale. E poco di epistemolo­gia dell’ intelligen­za artificial­e. Eppure i due temi convergono inesorabil­mente. Dell’etica si occupala Commission­e Europea nel suo documento strategico pubblicato­la settimana scorsa: le lobby delle piattaform­e l’ hanno giudicato come un possibile freno alla loro libertà d'azione, gli attivisti dei diritti umani lo hanno invece visto troppo debole e generico. E di etica si occupa, come era prevedibil­e, la Pontificia Accademia per la Vita lavorando in collaboraz­ione con Micro sof te Ibm, il che era meno prevedibil­e: «Gli algoritmi devono includere i valori etici» ha detto l’accademico Paolo Benanti, scegliendo una formula piuttosto impegnativ­a. Di certo, il problema è fondamenta­le. Ma come definirlo? I pragmatici dicono che in fondo è etico ciò che fa bene a tutti e non è etico ciò che fa bene a qualcuno e male agli altri. In questo senso, più che di definire ciò che etico in assoluto, occorre creare un metodo per valutare il vantaggio condiviso tra tutti gli stakeholde­r. Ma come ci si mette d’accordo sui criteri da adottare? Il problema, appunto, è epistemolo­gico. Poiché l’intelligen­za artificial­e di fatto produce una forma di conoscenza a partire da informazio­ni, si potrebbe risolvere tutto sostenendo che quella conoscenza è oggettiva: se l'intelligen­za artificial­e desse risultati oggettivi gli stakeholde­r non avrebbero molto da discutere sullo strumento. Esiste, e ha vasta notorietà, una bizzarra teoria sulla“fine della teoria” che grazie alla disponibil­ità di grandi insiemi di dati e di programmi che li possono gestire con un'efficienza mai vista in passato - suppone che l'intelligen­za artificial­e generi una sorta di verità oggettiva. Cioè: se lo dicono i dati e non i teorici, allora è vero. Ma non è vero, come si dimostra lavorando di epistemolo­gia e buon senso. I dati disponibil­i non sono mai completi. E se i dati sono parziali, qualunque conoscenza si estragga sarà a sua volta parziale. Del resto gli algoritmi usati per estrarre conoscenza dai dati, e le domande che si pongono a quegli algoritmi, risentono dei pregiudizi di colo roche li inventano e le pensano. Del resto lava lutazione delle soluzioni di mach i nel earning non è facile: gli esperiment­i non sono ripetibili, per il famoso problema della “black box” a causa del quale si sa che cosa entra e che cosa esce da quei programmi, ma non si sa che cosa esattament­e avvenga in mezzo. L’epistemolo­gia aiuta, sviluppand­o un senso critico e un sano scetticism­o nei confronti delle conoscenze generate dalle macchine. Il problema etico è anche un problema epistemolo­gico. Le due questioni convergono. E probabilme­nte non c'è una soluzione buona per tutti i casi. Per stabilire i tempi della manutenzio­ne predittiva delle macchine industrial­i non occorre una particolar­e riflession­e epistemolo­gica. Casomai il tema etico è relativo alla mutazione dei mestieri impattati dall'automazion­e e all'investimen­to nella formazione delle persone coinvolte. Invece, se le macchine sono usate per decidere qualcosa sulla vita delle persone, l' etica e l' epistemolo­gia devono essere chiamate in causa. La valutazion­e del merito di credito delle persone, per esempio, può avere conseguenz­e enormi e non dovrebbe essere affidata a una supposta oggettivit­à delle macchine. Le scelte che implicano conseguenz­e sulle persone possono essere aiutate dalle macchine ma devono essere operate dagli umani.

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