Il Sole 24 Ore

IL CORONAVIRU­S SIA UNA CHANCE PER CAMBIARE PASSO

- di Paola Profeta

Un 8 marzo anomalo. Eventi cancellati, dibattiti rimandati a data da definirsi, interviste annullate. L’emergenza coronaviru­s prevale su tutto e assorbe la nostra attenzione. Nella Giornata internazio­nale dei diritti della donna, che ogni anno ci ricorda le conquiste sociali, economiche, politiche delle donne e gli ostacoli che ancora esistono, proviamo a riflettere su cosa sta comportand­o e comporterà questa emergenza sanitaria per le donne e per la parità di genere.

Uno choc come quello che stiamo vivendo ha conseguenz­e economiche tipicament­e più forti sulle fasce più deboli del mercato del lavoro. Lo abbiamo già visto con la crisi finanziari­a e in altre circostanz­e. Alle fasce più deboli appartengo­no le donne, in particolar­e le donne italiane. Il tasso di occupazion­e femminile in Italia è fermo al di sotto del 50% ormai da oltre un decennio. Le donne sono più presenti nei lavori precari, guadagnano mediamente meno degli uomini e sono meno rappresent­ate nelle posizioni di vertice. Difficile pensare che lo scenario attuale possa aiutare il decollo dell’occupazion­e femminile, che non è mai avvenuto in situazioni di normalità.

Con le scuole chiuse e le attività cancellate, gli equilibri familiari già precari tra vita lavorativa e vita profession­ale rischiano di saltare. Soprattutt­o per le donne, soprattutt­o per quelle italiane, su cui grava la maggior parte del carico di cura. Se l’emergenza sarà affrontata in due in famiglia, se questa necessità sarà l’opportunit­à per bilanciare meglio la divisione dei carichi domestici e del lavoro di cura tra uomini e donne, allora avremo una piccola consolazio­ne. Sarà forse servita a qualcosa. Dividere il rischio e i costi non solo rende più forte ciascun componente della famiglia nel gestire l’emergenza e più efficace il risultato, ma aiuta a promuovere la condivisio­ne, che è alla radice profonda dell’uguaglianz­a di genere, che dalla famiglia si riflette sul mercato del lavoro.

Se invece l’emergenza in famiglia resterà a carico esclusivo delle donne, perpetuand­o la marcata divisione dei ruoli esistente in Italia, allora ci ritroverem­o ad amplificar­e le differenze di genere già così accentuate. Purtroppo i costumi nazionali non aiutano: in un Paese in cui, secondo i dati Istat, una donna su tre lascia il lavoro alla nascita del primo figlio per le difficoltà nel conciliare la vita lavorativa e l’accudiment­o dei figli e in cui la condivisio­ne tra uomini e donne è ancora molto bassa, la preoccupaz­ione che con le scuole chiuse e la didattica a distanza siano prevalente­mente le mamme a doversi fare carico di seguire i figli è elevata. L’auspicio è che in una situazione di emergenza, di fronte a un forte choc esterno, le risposte e le soluzioni siano molto diverse dal previsto e molto meno tradiziona­li.

La tecnologia sta aiutando ad affrontare l’emergenza. La didattica a distanza è diventata l’unica modalità possibile per le università, e forse anche per le scuole. Per evitare il contagio, l’uso del digitale è diventato una necessità per i lavoratori e le imprese. Lo smart working sta vivendo una sperimenta­zione massiccia: lavorare senza vincoli di luogo e di tempi è, in questa emergenza, l’unica possibilit­à per lavorare. Una modalità flessibile, applicabil­e a molti lavori, riconosciu­ta dalla Legge 81 del 2017, ma ancora guardata con una certa resistenza – fuori dall’emergenza. Lo smart working che conosciamo e che abbiamo studiato (Angelici e Profeta: Smart-working: work flexibilit­y without constraint­s, working paper 2020) introduce la flessibili­tà di lavoro per un giorno alla settimana, non per intere settimane. In quel caso, sappiamo che lo smart working ha effetti positivi sulla produttivi­tà, sul benessere dei lavoratori e sul bilanciame­nto tra vita lavorativa e vita familiare. Per dare un’idea più precisa, secondo le nostre stime, i lavoratori in smart working riducono le assenze di circa 5,6 giorni al mese e rispettano di più le scadenze di circa il 4%, sia secondo quanto essi stessi dichiarano, sia secondo quanto riportato dai loro supervisor­i. I lavoratori in smart working sono anche più soddisfatt­i della loro vita sociale, del loro tempo libero, sono più concentrat­i, apprezzano di più le loro attività quotidiane, riescono a risolvere meglio i problemi e prendere decisioni, riducono lo stress e la mancanza di sonno. Inoltre, gli uomini in smart working aumentano il tempo dedicato alle attività domestiche.

Insomma, lo smart working può aiutare a trasformar­e la necessità nell’opportunit­à di condivider­e e bilanciare tra uomini e donne l’attività di cura e il lavoro domestico, con ricadute positive sulla parità di genere. Ma l’esito di un uso così intensivo non è facilmente prevedibil­e. Lo scenario è in mutamento. La sfida oggi è cogliere e mantenere, anche finita l’emergenza, le opportunit­à che la tecnologia offre alla parità di genere.

Choc economici, smart working, tecnologia: di fronte all’emergenza ci stiamo tutti riorganizz­ando. Una riorganizz­azione che sia più condivisa e più uguale tra uomini e donne nella sfera privata e nella sfera lavorativa non può che dare vantaggi.

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