Negli Usa nuovi posti di lavoro a febbraio (ma si teme l’effetto crisi)
L’economia americana è arrivata alla vigilia dell’inedita sfida posta dal coronavirus in condizioni solide: in febbraio sono stati creati 273mila posti di lavoro, quasi centomila più del previsto. E il tasso di disoccupazione è scivolato dal 3,6% al 3,5%, ai minimi dalla fine degli anni Sessanta. I salari, da sempre punto debole della crescita, hanno a loro volta mostrato moderati incrementi dello 0,3% che hanno spinto l’aumento annuale al 3%.
Lo spettro di ripercussioni del Covid-19, con ormai centomila casi nel mondo e nuovi contagi negli Stati Uniti, hanno però tenuto in allarme sia mercati, dove è proseguita la corsa ai beni rifugio, che gli analisti. Le cifre di febbraio, hanno sottolineato, riflettono informazioni comunicate dalle aziende sui dipendenti e sondaggi tra i cittadini realizzati nelle scorse settimane, prima dell’escalation dell’epidemia.
L’impatto potrebbe essere in agguato da marzo in avanti anzitutto nel settore manifatturiero, che risente di carenze di parti e ostacoli al commercio, nell’ospitalità e nel retail danneggiati da nuova cautela tra i consumatori, tra le compagnie aeree afflitte da cancellazioni di eventi, di viaggi di lavoro e di piacere. I segnali cominciano ad affiorare: United Airlines ha di recente congelato ogni assunzione in risposta a riduzioni delle prenotazioni e così ha fatto Hyatt Hotels. In gioco sono «colpi a settori responsabili di molti nuovi impieghi, un grado di rischio mai visto nell’attuale ciclo economico» ha detto Sarah House di Wells Fargo. Tim Fiore, dell’Institute for Supply Management che elabora gli indici manifatturieri, ha pronosticato «licenziamenti in presenza di cali della domanda globale».
Una tenuta del mercato del lavoro in febbraio era stata già suggerita dall’andamento delle richieste di sussidi di disoccupazione, che nell’ultima settimana sono diminuite di 3.000 unità a minimi di 216mila. E simili condizioni pre-epidemia consentono agli osservatori di scommettere che, se e quando il peggio dell’epidemia passerà, l’espansione potrebbe riscattarsi. È una diagnosi che appare condivisa dalla Federal Reserve: l’urgente preoccupazione per l’impatto del virus su attività e fiducia di aziende, consumatori e investitori ha però spinto la Banca centrale a far scattare martedì scorso un taglio d’emergenza di mezzo punto percentuale nei tassi d’interessi statunitensi, denunciando “rischi in evoluzione”. E a lasciare la porta aperta a nuovi tagli al suo vertice di metà marzo.
In febbraio, tra i settori capaci della maggior crescita occupazionale si sono contati i servizi sanitari e sociali, con 57mila nuovi posti, e la ristorazione, con 53mila. Il vasto settore di servizi, nell’insieme, ha generato 167mila impieghi. Alla crescita hanno contribuito inoltre l’edilizia, con 42mila assunzioni nette, e il manifatturiero con 15mila nuovi posti, i primi da novembre.
Creati 273mila impieghi: ma i dati non riflettono ancora l’incognita coronavirus