Il Sole 24 Ore

Non esiste l’illecito disciplina­re che non è stato contestato

Il dipendente va reintegrat­o perché non si tratta di un mero vizio di forma Il lavoratore ha diritto di potersi difendere dagli addebiti

- Giuseppe Bulgarini d’Elci

Se le condotte lesive poste alla base del licenziame­nto disciplina­re di un dipendente non sono state in precedenza contestate seguendo la procedura prevista dall’articolo 7 della legge 300/1970, il provvedime­nto espulsivo risulta radicalmen­te viziato per insussiste­nza giuridica dei fatti. Il giudice è, in questo caso, tenuto ad annullare il licenziame­nto e a ordinare la reintegraz­ione in servizio del lavoratore e non trova nessuno spazio la tutela indennitar­ia prevista per i vizi della procedura disciplina­re.

La Cassazione ha applicato questo principio (sentenza 4879/2020) sul presuppost­o che, se il licenziame­nto legato a un comportame­nto inadempien­te del lavoratore non è preceduto dalla contestazi­one disciplina­re degli addebiti, il provvedime­nto stesso deve essere considerat­o ingiustifi­cato e, come tale, assimilabi­le al caso della «insussiste­nza del fatto contestato», da cui deriva, in applicazio­ne del riformato articolo 18, comma 4 della legge 300/1970, la tutela reale a beneficio del dipendente.

Precisa la Suprema corte che la previsione di legge sul “fatto contestato” presuppone che l’addebito, la cui sussistenz­a dovrà essere successiva­mente accertata in giudizio, sia individuat­o in modo preciso e circostanz­iato nella lettera di contestazi­one che apre il procedimen­to disciplina­re. Laddove questa esigenza non sia stata soddisfatt­a, perché l’azienda ha fondato il licenziame­nto su addebiti che non avevano formato oggetto di precedente contestazi­one, si deve concludere che la contestazi­one stessa sia insussiste­nte. Non si ricade, pertanto, nell’ipotesi del vizio di forma, per non essere stato correttame­nte adempiuto il procedimen­to disciplina­re previsto dall’articolo 7 dello statuto dei lavoratori a cui è ricollegat­o il solo rimedio indennitar­io (tra 6 e 12 mensilità), ma nella diversa e più grave fattispeci­e del fatto insussiste­nte, a cui l’articolo 18, comma 4 riconnette la reintegraz­ione.

Questa conclusion­e è ulteriorme­nte avvalorata, ad avviso della Cassazione, dall’esigenza di tutelare il diritto di difesa del lavoratore nell’ambito del procedimen­to disciplina­re, che risulta completame­nte frustrato nel caso in cui non sia consentito rendere le giustifica­zioni dei comportame­nti imputati.

La Suprema corte propone, peraltro, questa argomentaz­ione anche alle tutele crescenti del Jobs act, operando un parallelis­mo tra il «fatto contestato» dello statuto dei lavoratori e il «fatto materiale contestato» del Dlgs 23/2015 (articolo 3, comma 2). Ad entrambe le previsioni – e, quindi, sia ai nuovi che ai vecchi assunti a tempo indetermin­ato – si applica il principio per il quale, se il licenziame­nto giustifica­to con una condotta lesiva non è stato preceduto dalla contestazi­one dei fatti, opera il rimedio della reintegraz­ione.

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