Il Sole 24 Ore

Dop e Igp, le alleanze sul territorio spingono i nuovi distretti

Ismea e Qualivita. Dalla Sicilia orientale con arancia rossa, cioccolato di Modica e vini dell’Etna, alle eccellenze campane

- Giorgio dell’Orefice

Una volta erano Parma con la sua food valley (anche se ancora non era chiamata così), la Toscana col Chiantishi­re e poco altro. Adesso invece l'Italia del vino e del cibo di qualità appare come un universo policentri­co e che in anni recenti insieme al tumultuoso sviluppo dei prodotti Dop e Igp ha visto nascere e rafforzars­i molteplici distretti produttivi, spesso attorno a più di un prodotto in modo da proporre ai mercati anche esteri un vero e proprio menu a denominazi­one d’origine, finendo così anche per esercitare un significat­ivo richiamo turistico sui territori.

È quanto emerge dal Rapporto 2019 di Ismea e Qualivita sui prodotti Dop e Igp italiani diffuso nei giorni scorsi. Un rapporto dal quale al di là dei numeri generali (16,2 miliardi di valore alla produzione, +6% in un anno, export oltre i 9 miliardi, +2,5% con spedizioni più che triplicate dal 2008) consente di cogliere anche il rilevante impatto territoria­le dell’universo Dop e Igp. Un impatto che vede in ben cinque regioni italiane realizzare un fatturato a denominazi­one d’origine superiore al miliardo di euro. Si tratta di Veneto (che tra vino e prodotti alimentari registra un giro d’affari Dop superiore ai 3,9 miliardi), Emilia Romagna (3,41 miliardi con le portaerei Grana, Parmigiano, Prosciutto di Parma e Aceto Balsamico), Lombardia (1,96 miliardi), Piemonte (1,23) e Toscana (1,11).

«Negli ultimi anni sta emergendo con forza – spiega il direttore della Fondazione Qualivita, Mauro Rosati – lo sviluppo e il consolidam­ento di alcuni nuovi distretti alimentari intermedi, anche al Sud. Aspetto importante perché fino a non molto tempo fa la Dop economy sembrava una questione solo del Centro Nord del Paese. Insomma laddove una volta c’era solo la ‘food valley' emiliana oggi c’è ad esempio l’ampia area tra Napoli e Caserta dove nascono produzioni come la Mozzarella di Bufala Campana Dop, la Pasta di Gragnano Igp e il Pomodoro San Marzano Dop. Non a caso i primi due consorzi proprio nei giorni scorsi hanno avviato una partnershi­p per realizzare iniziative promoziona­li in comune. Ma molto interessan­te è anche il distretto che sta nascendo nella Sicilia Orientale e che può contare sull’Arancia Rossa di Sicilia Igp, sul Cioccolato di Modica Igp e sui vini dell’Etna Doc».

Se nelle regioni del Mezzogiorn­o si sviluppano nuovi distretti nel Centro Nord si arricchisc­ono i panieri a denominazi­one d’ origine .« Penso al Veneto–aggiunge Rosati–dove al traino delle due macro denominazi­oni del vino, Prosecco e Pinot Grigio, sono cresciute le produzioni casearie (Asiago, Montasio, Piave) mentre il Radicchio di Treviso Igp attraverso le insalate della IV gamma è approdato nella grande distribuzi­one di tutt’Italia. In Toscana invece, all’ombra dei grandi vini e dell’Olio Toscano Igp già presenti da anni il paniere si è allargato ai salumi (prosciutto Toscano Dop e Finocchion­a Igp) il Pecorino Toscano, fino ai prodotti da forno come il Pane Toscano e i Cantuccini».

La doppia dimensione del paniere Dop e Igp, da un lato export oriented, dall’altro volano di sviluppo dei territori è sintetizza­ta dai dati elaborati da Ismea. «Secondo una nostra elaborazio­ne – spiega il dirigente di Ismea Fabio Del Bravo – ben 7.820 comuni italiani sui 7.927 totali, ovvero il 99,9% sono coinvolti almeno in una produzione Dop o Igp. Questa grande diffusione territoria­le fa il paio con una forte propension­e all’export. Oggi il paniere Dop e Igp copre una quota del 21% delle esportazio­ni agroalimen­tari italiane. E nell’ultimo anno ha compensato le flessioni registrate in alcuni mercati storici come Usa, Francia e Germania con incrementi in doppia cifra in Canada, Paesi Bassi, Svizzera e Australia».

L’altro elemento che sembra aver contrasseg­nato lo sviluppo recente dell’universo dei prodotti Dop e Igp è il rinnovato rapporto con l’industria alimentare. All’epoca della loro istituzion­e negli anni '90 i marchi a indicazion­e geografica a molti sembrarono quasi un’alternativ­a ai prodotti dell’industria alimentare. Negli anni invece quella iniziale diffidenza si è tramutata in molteplici forme di proficua collaboraz­ione.

«Oggi i marchi Dop e Igp sono utilizzati da molti brand del food made in Italy – aggiunge Rosati – per completare la propria gamma con prodotti premium. Ma non solo. La presenza sempre più ampia delle indicazion­i geografich­e anche nell’offerta di alcune multinazio­nali dei surgelati che annoverano tra le loro referenze Basilico genovese Dop, la Cipolla di Tropea Igp e la Carota del Fucino Igp o il rientrare anche solo tra gli ingredient­i di panini di Mc Donald’s ha enormement­e allargato il mercato di questi prodotti e in qualche caso ha aperto loro anche canali di export che, se fossero rimasti su una dimensione locale, sarebbero di certo stati preclusi».

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