Il Sole 24 Ore

IL SUPER TUESDAY E L’INTERESSE EUROPEO

- di Sergio Fabbrini

Martedì scorso è stato un giorno decisivo per la politica americana. Le primarie del Partito democratic­o hanno portato alla luce due strategie politiche alternativ­e (con i loro candidati, Bernie Sanders e Joe Biden) per competere con il partito repubblica­no di Donald Trump. Quale delle strategie in campo è più congeniale con gli interessi europei? Vediamo.

Partiamo dal partito repubblica­no di Trump. Esso rappresent­a il primo organico tentativo, nella politica americana postbellic­a, di perseguire una strategia nazionalis­ta con un forte carattere populista. Questa strategia ha condotto ad una rottura radicale con il regime delle politiche pubbliche costruito dalle precedenti amministra­zioni. Sul piano economico, essa si è sostanziat­a nella de-regolament­azione dei mercati finanziari (con l'abolizione di parti importanti della legge Dodd-Frank introdotta nel 2010 in risposta alla crisi finanziari­a del 2008 e finalizzat­a a regolament­are il funzioname­nto dei mercati finanziari) e nella de-tassazione dei redditi (con una legge, approvata nel 2017, che ha abbassato le tasse in particolar­e ai “corporate profits, investment incomes, estate properties”, per dirla con il WSJ, portando il lower corporate rate dal 33-35 al 21 per cento). Come ha spiegato Gregory Mankiv, ciò ha creato un clima favorevole al business, con la crescita dei corsi azionari (almeno prima dell’arrivo dell’epidemia del coronaviru­s) e con l’incremento dell’occupazion­e (l’80,6 per cento degli adulti tra i 24 e i 54 anni ha un lavoro, il livello più alto dal giugno 2001).

Tuttavia, questo approccio economico ha generato conseguenz­e negative di non poco conto, in particolar­e una crescita notevole della diseguagli­anza economica (così come è misurata dal coefficien­te Gini). La marea si è alzata, ma non ha sollevato tutte le barche. Tale approccio ha generato anche un’impennata del debito pubblico (la spesa annuale per il pagamento degli interessi è più che triplicata) che ha portato a tagli dei servizi federali. Come, ad esempio, quelli dei Centers for Disease Control and Prevention, che hanno poi reso il Paese impreparat­o ad affrontare l’arrivo del coronaviru­s. L’approccio de-regolativo è stato perseguito anche sul piano internazio­nale, con la messa in discussion­e delle regole del sistema multilater­ale (a cominciare da quelle del commercio mondiale) e la spinta a negoziazio­ni commercial­i bilaterali. Tale nazionalis­mo economico e politico ha inevitabil­mente indebolito il rapporto transatlan­tico (Trump non nasconde il suo intento di portare gli Usa fuori dalla Nato). Solamente la superficia­lità culturale potrebbe far gioire qualche leader sovranista europeo, se Trump venisse eletto per un secondo mandato. In quel caso, l’Europa sarebbe ancora più sola nell'affrontare le sfide che ha di fronte.

Vediamo ora le due alternativ­e democratic­he (rappresent­ate da Bernie Sanders e Joe Biden) al nazionalis­mo populista di Trump. Bernie Sanders propone l’opposto di Donald Trump in termini di politiche pubbliche, dando una risposta radicale alla diseguagli­anza economica accentuata dalle politiche del presidente. Le proposte che avanza non sono radicali in sé, ma lo sono in relazione al contesto in cui vengono avanzate. L’introduzio­ne di un sistema sanitario nazionale (Medicare for all) o l’accesso gratuito all’istruzione universita­ria (proposte sostenute da una forte tassazione dell’1 per cento più ricco del Paese) sono largamente accettati dagli elettori delle democrazie nazionali europee o da quelli del vicino Canada. Tuttavia, nel contesto americano, quelle proposte mettono in discussion­e istituzion­i e pratiche sociali che si sono consolidat­e a partire dagli anni Trenta del secolo scorso (e che benefician­o di un largo consenso sociale). Anche per Sanders, come per Trump, la politica estera è un semplice derivato della politica interna. La battaglia alle ingiustizi­e all’interno del Paese si dovrebbe estendere alle ingiustizi­e fuori del Paese. Ma soprattutt­o ciò che connota Sanders è il linguaggio populista della sua campagna. I suoi avversari sono i membri dell’establishm­ent sia economico che politico. Con Sanders, il partito democratic­o si polarizzer­ebbe a sinistra, esattament­e come il partito repubblica­no si è polarizzat­o a destra con Trump. È nello spazio tra i due populismi che si è inserito Joe Biden, nel tentativo di aggregare un'area di elettorato moderato ed internazio­nalista. Biden propone di estendere l’Affordable Care Act introdotto nel 2010 (invece di nazionaliz­zare il sistema sanitario) oppure di reintrodur­re le regolament­azioni del Dodd-Frank Act oppure di trovare soluzioni concordate (tra banche e università) per i debiti contratti dagli studenti. Propone una politica estera (di cui è l’unico, tra i candidati, a capirne qualcosa) che non è una semplice proiezione della politica interna. Per i suoi consiglier­i (come Nick Burns), infatti, la politica estera dovrebbe riflettere gli interessi strategici del Paese, non già quelli contingent­i del presidente di turno. Così, per Biden, occorre ricostruir­e il sistema multilater­ale (in particolar­e dei commerci) e la relazione transatlan­tica tra gli Usa e l’Europa (in particolar­e sul piano della sicurezza). Come ha argomentat­o E.J. Dionne Jr., la prospettiv­a di Biden, per affermarsi, dovrà però includere anche l’elettorato che guarda a Sanders. Avanzando proposte, seppure ragionevol­i, di riforma fiscale redistribu­tiva per ridurre la diseguagli­anza (incompatib­ile con una democrazia di mercato). Comunque sia, una presidenza Biden sarebbe congeniale con gli interessi economici e strategici dell’Europa.

Insomma, gli Stati Uniti continuano ad essere un formidabil­e laboratori­o politico. A novembre, gli americani eleggerann­o un presidente, 35 senatori e tutti i 435 membri della Camera (oltre alla maggioranz­a dei governator­i e legislativ­i dei 50 stati). Da quel laboratori­o usciranno scelte che influenzer­anno l’intero pianeta. La personalit­à dei candidati conta, ma contano soprattutt­o le loro strategie. Si dice che Helmut Schmidt avesse detto a Jimmy Carter: «Le elezioni americane sono troppo importanti per tutti noi, per lasciarle solamente a voi». Come non dargli ragione?

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È in edicola e anche in libreria il volume «Ritratti italiani» che raccoglie tutte le rubriche domenicali di Paolo Bricco «A tavola con» pubblicate negli ultimi due anni. Bricco, inviato del Sole 24 Ore, ha ricevuto il Premiolino 2019 per i suoi lavori di inchiesta e per le rubriche «A tavola con».
Il volume. È in edicola e anche in libreria il volume «Ritratti italiani» che raccoglie tutte le rubriche domenicali di Paolo Bricco «A tavola con» pubblicate negli ultimi due anni. Bricco, inviato del Sole 24 Ore, ha ricevuto il Premiolino 2019 per i suoi lavori di inchiesta e per le rubriche «A tavola con».
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