INVESTIMENTI VERDI E CAOS BUROCRATICO
L’Unione europea (Ue) ha finalmente adottato a gennaio 2020 dopo un laborioso accordo la c.d. “tassonomia verde” per classificare gli investimenti sostenibili, all’interno del pacchetto normativo della Commissione sulla finanza verde. Il nuovo schema di etichettatura affronterà il problema delle corporations che mettono in atto comportamenti fraudolenti per perseguire un ambientalismo di facciata (il greenwashing).
Il nuovo codice definisce puntualmente ed elenca le attività che contribuiscono alla transizione energetica, come la generazione di energia rinnovabile o la produzione di auto elettriche. Nelle fasi preliminari ci sono stati dibattiti intensi sull’opportunità di un’inclusione dell'energia nucleare o del gas naturale e su una graduazione delle attività attraverso “sfumature di verde”.
In coerenza con la nuova nomenclatura, la Banca europea per gli investimenti (BEI) ha deciso di cancellare i portafogli di prestiti destinati ad attività connesse con i combustibili fossili.
Carbone e gas hanno ancora un ruolo di rilievo all’interno dell’approvvigionament o e della produzione nergetica dell’Ue (in particolare del Nord-Europa).
A fronte di questa mobilitazione delle burocrazie comunitarie, la proliferazione normativa mostra tuttavia punti di debolezza.
In primis, la nuova normativa non discrimina i progetti sulla base delle necessità di funding delle imprese. Riorientare i flussi verso determinate categorie di investimenti può dare benefici solo se esiste effettivamente una cronica carenza di finanziamenti: de facto non tutte le attività sono sotto-finanziate.
La crescita delle attività environment-friendly può essere limitata dalla mancanza di un mercato di sbocco, un contesto fiscale sfavorevole o ostacoli tecnologici. Come autorevolmente sostenuto dall’economista Stan Duprè, la carenza di funding può essere più l’effetto che non la causa del mancato sviluppo di un progetto green.
Su altre iniziative non c’è condivisione di vedute all'interno delle istituzioni europee. L’idea di una golden rule
sugli investimenti verdi dei governi in cofinanziamento con l’Ue difficilmente uscirà dalla fase del dibattito. Questi investimenti aggiuntivi dovrebbero sperabilmente essere dedotti dal calcolo del disavanzo pubblico. Tuttavia un gruppo di 14 Stati membri è rimasto contrario, affermando che le norme attuali offrono sufficiente flessibilità.
Più apprezzata dai falchi della Commissione è l’idea di autorizzare un “supporto verde” per le banche. Si tratta di una riduzione dei coefficienti di riskweighting, cioè di riserve da appostare a compensazione del rischio assunto per investimenti sostenibili. Dunque, una misura di stimolo per il sistema bancario piuttosto che per i governi, vista la diffidenza diffusa verso la gestione pubblica degli investimenti. Certo una possibile bolla sugli investimenti verdi potrebbe gonfiarsi anche attraverso il canale bancario.
Al fine di agevolare la transizione energetica – un processo che potrebbe durare 20-30 anni – il Commissario per il mercato interno, Thierry Breton suggerisce il ricorso ad obbligazioni anche cinquantennali emesse dalla
BEI/governi ed assoggettate
golden rule che la Bce dovrebbe acquistare attraverso una rimodulazione del Quantitative
Easing. In sinergia, dovrebbe essere varata un'imposta sulla produzione di CO2, che sarebbe equivalente ad un dazio alle importazioni da Paesi che non includono i costi ambientali all'interno del prezzo di vendita.
Si tratta purtroppo di prese di posizione che non hanno fatto breccia nel processo burocraticonormativo dell’UE. Forse l’emergenza che sta attraversando l’economia europea in queste settimane e la sfida di trovare delle risposte efficaci ad un double-shock su domanda ed offerta spingeranno le istituzioni comunitarie a rivedere rapidamente l’agenda.
Direttore generale dell’Agenzia
delle Dogane e dei Monopoli Le opinioni sono strettamente personali
á@MarcelloMinenna
‘‘ L’idea di una «golden rule» sugli investimenti verdi in cofinanziame nto con l’Ue difficilmente uscirà dalla fase del dibattito. Un gruppo di 14 Stati membri è rimasto contrario
Più apprezzata dai «falchi» è l’idea di autorizzare un «supporto verde» per le banche