Il Sole 24 Ore

Quell’anatra sì, che resta impressa

Il San Domenico di Imola compie 50 anni: punto fermo della grande ristorazio­ne italiana conferma le sue eccellenze. Tra i piatti memorabili, l’ormai rara canard

- Stefano Salis

Igesti sono precisi, rapidi, sapienti. Le mani, anzi il corpo, danza un ballo fatto di consuetudi­ni ed esperienza, la postura e l’eleganza delle movenze tradiscono un’abitudine affinata negli anni e diventata ormai quasi uno show a beneficio del cliente: lo spettacolo è ammaliante, per noi al tavolo, ma anche per tutti gli altri commensali vicini: il ristorante si è fermato, ad ammirare. Il rituale della canard à la presse è affascinan­te: e il “finissage” del piatto, fatto al tavolo di chi lo ha ordinato, è parte integrante del gusto che tra poco si materializ­zerà sulle papille gustative.Quasi, però, è la parola determinan­te. Perché Valentino Marcattili­i, mentre disossa, taglia, versa il cognac, flamba la carne e rifinisce il sugo (una parte del quale è, appunto, ottenuto pressando la carcassa dell’anatra nell’apposita, bellissima, pressa di metallo argentato per far uscire succhi e sangue dell’animale) e poi lo consegna ai suoi abili camerieri, racconta la magia del piattonond­imenticand­odisofferm­arsi su un particolar­e. Decisivo: «Questo è un signor piatto». Già: perché è la cucina la pietra angolare di questo posto.

Sono venuto al San Domenico di Imola proprio per l’anatra pressata, un secondo storico, pieno di rimandi culturali, che rituffa negli anni 70 (e anche prima, ovvio: la ricetta è codificata dal 1890). Mi è capitato di mangiarla nel suo tempio, la mitica Tour d’Argent di Parigi: e questa non ha nulla da invidiargl­i (sì, non ho ricevuto il talloncino con il numero progressiv­o dell’animale servito, ma di certo non per questo dimentiche­rò l’esperienza).

Proprio così: il San Domenico, che ha compiuto giusto ieri i suoi 50 anni esatti di attività, è una certezza della nostra alta ristorazio­ne. No, meglio: è un classico. Due stelle Michelin da 4 decadi (!), una qualità che fin dall’inizio ha rivoluzion­ato il modo di fare ristorazio­ne in Italia. L’idea fu di Gianluigi Morini, che pensò a tutti i dettagli e chiamò ad avviare il ristorante nientemeno che Nino Bergese, «re dei cuochi e il cuoco dei re», definizion­e di (san) Luigi Veronelli, che glielo suggerì. Le tappezzeri­e ispirate da William Morris, l’impiattame­nto impeccabil­e, lo stile altoborghe­se,allepareti­opered’arte(iohopranza­to sotto due Capogrossi), una cantina e unmenùdavv­eroeccezio­nali sono altrettant­i punti forti del San Domenico. Ma la cifra di questo totem della cucina sono prima e più di tutto la cucina di Valentino e, ora, del nipote Massimilia­no Mascia, che da qualche anno lo affianca e rappresent­a il futuro (garantendo la continuità nel rinnovarsi, conservand­o allo stesso tempo solide radici nella tradizione gastronomi­ca italiana) insieme al servizio sempliceme­nte perfetto di tutto il personale di sala guidato da Natale Marcattili­i.

Una cucina (anche) del territorio in continua evoluzione (i tortellini sono fritti), i grandi piatti di scuola francese, le nuove tecniche al servizio della tradizione (così il celeberrim­o uovo in raviolo, imitatissi­mo, con burro di malga, parmigiano dolce e tartufo di stagione è stato reso più leggero nel tempo), la sperimenta­zione misurata di nuovi accostamen­ti: è una sarabanda di piatti calibrati al millimetro. Per i 50 anni, Mascia ha costruito un menù dedicato e iconico tradizione e innovazion­e: dalla spuma di patate affumicate e caviale al toast mignon, dall’arrostino di coniglio al rosmarino con crema e insalatina di funghi, all’uovo in raviolo, fino alla Torta Fiorentina “Nino Bergese”. Non dico nulla sui vini: un sommelier giovane ma già superbo come Francesco Cioria viaccompag­naconunase­lezionedie­tichetteab­binateadog­niportata:ameha fatto assaggiare vini strepitosi, giusto dopo l’emozione della visita alla cantina, una delle più belle e fornite d’Italia, con i migliori cru italiani e francesi, distillati di pregio, annate storiche in grado di stupire appassiona­ti ed esperti.

Il punto è questo: quando “arrivate” (perché ci si arriva, non si va) al San Domenico capite cosa è un classico. Qualcosa cui ci si aggrappa, tenacement­e, per generazion­i, nella certezza, nella speranza,chequalcos­a,almeno,rimanga del tempo che, inesorabil­e, scorre: la magia, la forza di un insieme di sensazioni che ci riporta sì a chi siamo stati, maancheach­ipotremmoe­ssere.Lacucina, la grande cucina, come tutta la grande arte, è esattament­e questo.

E,ora,lasciatemi­tornareall­amiacanard, prima che si freddi. Non sia mai.

 ??  ?? Il meglio della cucina. Sopra Valentino Marcattili­i prepara la rara canard à la presse (sulla destra la tipica pressa d’argento) sotto gli occhi del sommelier Francesco Cioria; sotto il signature dish: Uovo in raviolo “San Domenico”® Le specialità. Qui sotto, una selezione di cognac rari della sontuosa cantina del ristorante, dove sono gelosament­e custoditi veri e propri tesori dell’enologia nazionale e internazio­nale, migliaia di bottiglie di annate rare e preziose; e uno scorcio dei tavoli pronti con opere d’arte alle pareti.
Il meglio della cucina. Sopra Valentino Marcattili­i prepara la rara canard à la presse (sulla destra la tipica pressa d’argento) sotto gli occhi del sommelier Francesco Cioria; sotto il signature dish: Uovo in raviolo “San Domenico”® Le specialità. Qui sotto, una selezione di cognac rari della sontuosa cantina del ristorante, dove sono gelosament­e custoditi veri e propri tesori dell’enologia nazionale e internazio­nale, migliaia di bottiglie di annate rare e preziose; e uno scorcio dei tavoli pronti con opere d’arte alle pareti.
 ??  ?? Passato e futuro. A fianco Massimilia­no Mascia in cucina, rappresent­a la continuità e il futuro del ristorante; sotto, uno dei piatti storici, la Torta fiorentina Nino Bergese
(il maestro che ha avviato il ristorante) con sorbetto alla pera
Passato e futuro. A fianco Massimilia­no Mascia in cucina, rappresent­a la continuità e il futuro del ristorante; sotto, uno dei piatti storici, la Torta fiorentina Nino Bergese (il maestro che ha avviato il ristorante) con sorbetto alla pera
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