Cina, la catena delle forniture riparte—
Nei primi due mesi dell’anno il tonfo dell’export ha causato un disavanzo commerciale di 7,09 miliardi di dollari. La crescita potrà dimezzarsi rispetto al target del 6%
Gli ultimi dati sull’interscambio commerciale cinese confermano la brusca frenata delle attività economiche per via della semi-paralisi di produzione e trasporti causata dall’epidemia da coronavirus, ma non senza qualche sorpresa. Nei primi due mesi dell’anno le esportazioni sono crollate oltre quattro volte più delle importazioni e ben oltre quanto gli analisti economici si aspettassero: il cedimento inferiore alle attese dell’import ha quindi determinato un inatteso deficit commerciale.
Le statistiche rilasciate ieri (accorpando per la prima volta gennaio e febbraio, sulla scia dello scoppio dell’epidemia proprio in coincidenza con il Capodanno lunare e a cavallo tra i due mesi) evidenziano che l’export è sceso del 17,2% (il maggior calo dal febbraio dell’anno scorso, al culmine della guerra commerciale con gli Usa), mentre l’import è diminuito solo del 4% (molto meno delle aspettative medie degli esperti, che erano intorno al -16%). Entrambi gli indicatori risultavano positivi a dicembre: +7,9% l’export e +16,5% l’import.
Il disavanzo commerciale bimestrale si è attestato a 7,09 miliardi di dollari (a fronte del surplus di 41,5 miliardi nello stesso periodo del 2019): il totale dell’interscambio, per 591 miliardi di dollari, presenta un calo dell’11 per cento.
Il surplus con gli Stati Uniti - una questione-chiave nella disputa commerciale tra le principali economie del globo è sceso di circa il 40% a 25,4 miliardi di dollari; d’altra parte, i problemi dell'economia cinese, con l’arretramento delle importazioni, pongono un punto interrogativo sulla possibilità che Pechino rispetti gli impegni assunti con la firma della “Fase uno” dell’intesa commerciale con Washington per un forte aumento dei suoi acquisti di beni e servizi negli Usa (per circa 200 miliardi di dollari).
I dati sul commercio - così come l’indice ufficiale Pmi manifatturiero, sceso a febbraio al minimo storico - anticipano una forte contrazione del ritmo di crescita dell’economia, che nel primo trimestre viene pronosticata da molti analisti in dimezzamento intorno al +3% rispetto al +6% dell’ultimo trimestre del 2019. Alcuni esperti temono una performance ancora peggiore.
Le autorità cinesi continuano a cercare di sottolineare che la crisi da coronavirus avrà breve durata. Ci sono segnali di contenimento della diffusione dell’epidemia e di ripresa delle attività economiche, che secondo alcune stime sarebbero tornate intorno al 60% rispetto alla normalità. Secondo le autorità doganali, più del 90% delle oltre 2.500 società straniere coinvolte nelle attività di trading commerciale sono tornate a operare. Il gruppo assicurativo Euler Hermes prevede comunque che su scala annuale la Cina perderà volumi di esportazione di merci per 108 miliardi di dollari.
Pur insistendo su severe misure di prevenzione, l’atteggiamento delle autorità nelle ultime due settimane è apparso orientato a favorire il riavvio dell’attività manifatturiera, allentando alcune restrizioni specialmente nei settori più a rischio di incidere sulle catene di approvvigionamento globali.
Le società internazionali di analisi prevedono una robusta ripresa economica a partire dal secondo trimestre, che però non dovrebbe riuscire a compensare interamente la debole performance della prima parte dell’anno, rendendo aleatoria la prospettiva di una crescita annuale «intorno al 6%» che prima dello scoppio della crisi - secondo le indiscrezioni - il governo cinese sarebbe stato intenzionato a ufficializzare come obiettivo annuale. La fissazione del target per il 2020 è slittata da marzo ad aprile, con il rinvio precauzionale di un cruciale appuntamento parlamentare.