Banche, più Npl e meno fondi dai bond
Dopo il momento d’oro dei primi 50 giorni 2020, sfruttato dai principali istituti italiani, la finestra si è chiusa proprio ora che aumenta il fabbisogno di funding
Più Npl e meno fondi dai bond per le banche. Dopo il momento d’oro dei primi 50 giorni del 2020, sfruttato dai principali istituti italiani per piazzare debito a condizioni favorevoli mai viste prima,la finestra si è chiusa proprio quando aumenta il fabbisogno di funding. Si profila il blocco più completo su un mercato di grande importanza, proprio adesso che le banche sono alle prese con le richieste dei regolatori sui requisiti di capitale e dovranno affrontare una inevitabile recessione.
Un colpo di coda dell’inverno, con tanto di gelata improvvisa e soprattutto inattesa. Difficile trovare una metafora più efficace quando si vuole descrivere il mercato dei capitali, così come appare da due settimane a una banca alla ricerca di fondi per coprire il necessario fabbisogno. Dal momento d’oro dei primi 50 giorni del 2020, che i principali istituti di credito italiani hanno ampiamente sfruttato per piazzare debito a condizioni favorevoli mai viste prima, siamo passati al blocco più completo su un mercato di fondamentale importanza proprio adesso che le banche sono alle prese con le pressanti richieste dei regolatori sui requisiti di capitale e dovranno fronteggiare le problematiche legate a una recessione sempre più probabile.
Battere il ferro finché è rimasto caldo è stato in fondo semplice per gli emittenti, perché dall’altra parte della barricata hanno trovato investitori disposti a fare la coda per strapparsi di mano titoli che nell'epoca dei tassi zero (o negativi) offrono rendimenti non disprezzabili. Così si spiega l’operazione di UniCredit, che il 12 febbraio ha collocato un Additional Tier 1 (At1) a un tasso del 3,875% ricevendo richieste per 9 miliardi di euro a fronte degli 1,25 miliardi collocati presso istituzionali, e altre emissioni simili effettuate da Intesa Sanpaolo a Banca Ifis passando per Ubi, Banco Bpm, Mps e Mediobanca.
Sul primario è nel complesso finito, andando in alcuni casi letteralmente a ruba, l’equivalente di 10 miliardi di euro di titoli finanziari di banche italiane. Il fenomeno è stato condiviso con il resto d’Europa, dove nei primi due mesi del 2020 l’ammontare emesso è salito a 76 miliardi, il 22% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E neppure il mondo corporate è stato da meno: «Tra investment grade e high yield le aziende italiane hanno collocato fra gennaio e febbraio titoli per 12,3 miliardi rispetto agli 8,2 miliardi di 12 mesi prima e ai 10,5 miliardi del 2018, ma non c’è da sorprendersi visti i costi estremamente bassi di finanziamento», rileva Julio Suarez, direttore della ricerca di Afme.
La stagione si è però interrotta proprio sul più bello il 21 febbraio, complice l’ondata di avversione al rischio che ha travolto i mercati alla diffusione prima in Italia e poi nel resto d’Europa dell’epidemia di coronavirus. Da allora stop alle emissioni, per il settore finanziario e i corporate italiani, e con ripercussioni importanti anche nel Vecchio Continente, soprattutto fra gli strumenti ad alto rendimento. Zero titoli nuovi quindi, ma anche perdite pesanti sul secondario per quelli appena emessi: il già citato perpetuo At1 di UniCredit è arrivato a perdere il 14% - quasi 4 anni di cedole lorde bruciate in due settimane - e sorte simile hanno incontrato altri strumenti del genere.
Il problema non è però tanto per chi (o per cosa) è già sul mercato, quanto per chi è riuscito a sfruttare soltanto in parte la finestra favorevole, non ha potuto mettere fieno in cascina per tutto l’anno e se dovrà farlo in futuro non troverà certo le stesse condizioni. «Perché il mercato possa riaprire correttamente dovremmo probabilmente assistere a un’evoluzione favorevole della propagazione di Covid-19», avverte Thibault Douard, gestore di Tikehau, che d’altra parte invita a non drammatizzare la situazione perché «il mercato non è congelato». Le difficoltà, fa notare lìanalista, potrebbero semmai presentarsi a una banca italiana più piccola «che dovrebbe pagare un premio per attirare gli investitori, se tentasse di emettere in questo ambiente avverso al rischio».
In rampa di lancio prima dell’impasse c’era già un Tier 2 da 1,3 miliardi di UniCredit, mentre Intesa Sanpaolo ha in programma senior non-preferred per 5-7 miliardi nei prossimi 2 anni. «Banco Bpm e Ubi non hanno fornito cifre precise, ma riteniamo che anche loro possano necessitare di senior non-preferred per un ammontare compreso fra uno e due miliardi ciascuna», aggiunge Douard: in ogni caso un’attività rilevante che potrebbe diventare problematica se l’accesso ai mercati rimanesse precluso nei mesi a venire. In questo caso però, è convinto Douard, «i regolatori mostreranno un certo pragmatismo e ritarderanno le scadenze dei requisiti per l’emissione di debito subordinato». Questo perché «non ha senso che le autorità esercitino ulteriore pressione sulle banche nel momento in cui in Italia si adottano misure governative a sostegno delle imprese colpite dal coronavirus».
Per l’Italia sorge poi un’ulteriore questione connessa all’attività di fusioni e acquisizioni che cova sotto la cenere. «Le condizioni attuali potrebbero rallentare qualsiasi operazione nel breve termine», avverte Douard, con chiaro riferimento all’affaire Intesa-Ubi. «Il calo dei prezzi delle azioni rende potenzialmente più difficile per una banca raccogliere capitale per finanziare un’acquisizione», spiega l’analista, che punta anche il dito sul deterioramento di conti e patrimonio legato all’eventuale recessione in arrivo. «Mi aspetto che sofferenze e accantonamenti per perdite su crediti siano destinati a crescere di nuovo quando le imprese finiranno sotto pressione e che questo possa spingere il potenziale acquirente ad attendere per valutare meglio il possibile deterioramento della qualità dell’attivo e non pagare in eccesso una banca che rischia di vedere la solidità del proprio bilancio messa in pericolo nei prossimi trimestri». Sarebbe davvero un freno decisivo per un settore che sembrava aver di nuovo innestato la marcia.
UniCredit il 12 febbraio ha collocato a prezzi record un subordinato che in due settimane ha perso il 14%