Dimostrare il reato è facile Conta l’ampiezza dei mercati
Sfruttare per guadagno l’emergenza sanitaria scatenata dal Coronavirus rischia di avere conseguenze penali. Ad esempio, vendere prodotti di prima necessità, come disinfettanti e mascherine, a prezzi esorbitanti o offrire mascherine protettive prive del marchio CE sono condotte sanzionate dal Codice penale. E i cittadini che si imbattono in situazioni di questo genere possono usare l’arma della denuncia alla Guardia di finanza per fermare gli abusi. Vediamo quali sono quelli penalmente rilevanti e cosa rischia chi li commette.
Prezzi eccessivi
Il Codice penale, all’articolo 501-bis, prevede il reato di «manovre speculative su merci». Lo ha introdotto il decreto legge 704/1976 – dopo la crisi energetica del 1973 - per contrastare manovre speculative dirette alla maggiorazione dei prezzi di alcuni generi alimentari destinati al largo consumo. È procedibile d’ufficio e protegge gli operatori rispettosi delle esigenze economiche e sociali e i diritti dei consumatori.
La Cassazione, con una sentenza del 15 maggio 1989 (sezione VI), ha spiegato che basta l’aumento ingiustificato dei prezzi causato da un singolo commerciante, che profitti di particolari contingenze del mercato e, così facendo, determini la possibile influenza sui comportamenti degli altri operatori del settore, che possa tradursi nel concreto pericolo di un rincaro dei prezzi generalizzato, o, comunque, diffuso.
La condotta è punibile anche se la manovra speculativa non si riflette sul mercato nazionale, ma soltanto su di un mercato locale, purché riguardi una zona territoriale ampia.
I repertori non riportano molte altre decisioni, perché è un reato tipico delle situazioni emergenziali; trovare un giusto punto di equilibrio tra il diritto di iniziativa economica privata e i vincoli di solidarietà sociale previsti dall’articolo 41, comma 2, della Costituzione sarà compito dei processi originati dalle inchieste appena iniziate.
La prova del reato, in una situazione di emergenza come quella attuale, è agevole perché può essere sufficiente dimostrare la messa in vendita di un articolo di prima necessità a prezzi esorbitanti fatta da un singolo commerciante, soprattutto se opera su larga scala.
Il comma 2 dell’articolo 501-bis punisce anche chi - in presenza di rarefazione o rincaro sul mercato interno dei beni indicati nel comma precedente e nell’esercizio delle medesime attività - «ne sottrae all’utilizzazione o al consumo rilevanti quantità». In questo caso, il legislatore ha inteso colpire condotte che possono aggravare le speculazioni sui prezzi.
La Cassazione (sezione VI, 2 marzo 1983) ha spiegato che la nozione di «rilevante quantità» può essere colta dal giudice di merito in relazione alla normale presenza sul mercato. Sono reati di pericolo e non è punibile il tentativo.
La condanna per l’articolo 501bis comporta:
1)l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, se il fatto è stato commesso in danno o a vantaggio di un’attività imprenditoriale;
2) la pubblicazione della sentenza sul sito internet del ministero della Giustizia, nonché nei Comuni dove l’imputato è residente, è stato commesso il delitto e la sentenza è stata pronunciata;
3) l’interdizione dall’esercizio di attività commerciali o industriali per cui sia chiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, autorizzazione o licenza da parte dell’autorità.
Prodotti senza marchio CE
La frode in commercio (articolo 515 del Codice penale) punisce chi, nell’esercizio di un’attività commerciale, o in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, o una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella pattuita. Il delitto tutela la correttezza e la lealtà degli scambi commerciali, nonché la fiducia che negli stessi devono riporre i consumatori, ed è procedibile di ufficio.
La Cassazione ha sancito che «la divergenza qualitativa è data anche dalla contraffazione o assenza del marchio CE, assumendo che la sigla CE è marcatura ed è finalizzata ad attestare la conformità del prodotto a standard minimi di qualità» (sentenza 17686/2019); il delitto scatta anche se l’acquirente non controlla la merce offerta in vendita, essendo irrilevanti sia l’atteggiamento, fraudolento o meno, del venditore, sia la possibilità per l’acquirente di accorgersi della diversità della merce consegnatagli rispetto a quella richiesta (sentenza 54207/2016).
La prova del reato è abbastanza semplice: basta sequestrare il prodotto venduto per compararne le caratteristiche con l’originale.
È punita anche la persona giuridica nel cui interesse o vantaggio è stato commesso il reato, in base all’articolo 25-bis1 del decreto legislativo 231/2001; la sanzione è una multa che va da 25.800 a 774.500 euro.
Chi vende beni di prima necessità a prezzi esagerati commette il delitto di speculazione su merci