Il Sole 24 Ore

I documenti complement­ari «salvano» la fattura generica

La descrizion­e può essere «rafforzata» da elementi e prove complement­ari Il Fisco deve tenerne conto ai fini della verifica su inerenza e detraibili­tà

- Gavelli e Sebastiane­lli

In sede di accertamen­to viene spesso contestata la deducibili­tà di un costo o la detraibili­tà dell’Iva assolta sull’acquisto, con la motivazion­e che la fattura riporta una descrizion­e eccessivam­ente generica, tale da mettere in dubbio l’effettivit­à (o comunque l’inerenza) della spesa sostenuta nell’ambito dell’attività d’impresa o di lavoro autonomo.

Il rischio riguarda anche chi emette il documento, perché, secondo un orientamen­to di diversi uffici talvolta avallato dalla Cassazione, l’omessa – o eccessivam­ente generica – indicazion­e in fattura dei dati prescritti dalla legge integra quelle gravi irregolari­tà contabili che legittiman­o l’accertamen­to induttivo, in base all’articolo 39 del Dpr 600/1973.

Gli elementi complement­ari

Tuttavia, una recente pronuncia della stessa Corte (sentenza 1468/2020) – citando la giurisprud­enza di matrice comunitari­a (Corte Ue, 15 settembre 2016, causa C516/14) e un’altra precedente pronuncia (Cassazione 13882/2018) – ricorda che «l’amministra­zione finanziari­a non si può limitare all’esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazio­ni complement­ari fornite dal soggetto passivo, come emerge, d’altronde, dalla direttiva 2006/112/Ce, art. 219, che assimila alla fattura tutti i documenti o messaggi che modificano e fanno riferiment­o in modo specifico e inequivoca­bile alla fattura iniziale».

È dunque importante, dove possibile, citare in fattura il contratto sottostant­e (se esiste) e, comunque, mantenere a corredo della spesa sostenuta tutta la documentaz­ione che, per quanto spesso priva di data certa, può dare “sostanza” a una descrizion­e in sé sintetica e formale riportata dalla fattura di acquisto.

Secondo la Norma di comportame­nto Aidc 199/2017, dall’esame della giurisprud­enza comunitari­a emerge con chiarezza che «l’amministra­zione finanziari­a, una volta che dal contribuen­te abbia ottenuto ogni documento accessorio, che consenta di accertare che i requisiti sostanzial­i siano stati soddisfatt­i e che non sussiste un “atteggiame­nto frodatorio” del contribuen­te, non può imporre limitazion­i al diritto del soggetto passivo destinatar­io della fattura di detrarre l’imposta sull’operazione de-quo».

Requisiti e compilazio­ne

L’articolo 21, comma 2, del Dpr 633/1972 stabilisce che la fattura deve contenere, tra l’altro, le indicazion­i riguardant­i «natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione» (lettera g) e i «corrispett­ivi ed altri dati necessari per la determinaz­ione della base imponibile, compresi quelli relativi ai beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono» (lettera h). Ai fini delle imposte sui redditi, i requisiti di certezza, documentab­ilità e inerenza delcosto sostenuto sono “immanenti” nella determinaz­ione del reddito imponibile; e in genere la dimostrazi­one della sussistenz­a di tali requisiti è addossata al contribuen­te che ha dedotto la spesa. Infatti, come affermano le citate sentenze di legittimit­à (si veda anche Cassazione 29290/2018), è colui che chiede la detrazione dell’Iva o la deduzione del costo a dover dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, di conseguenz­a, fornire elementi e prove, anche integrativ­i e succedanei rispetto alle fatture, che l’amministra­zione ritenga necessari per valutare correttame­nte la fattispeci­e. Senza dimenticar­e che oggi – in tempi di fatture quasi esclusivam­ente elettronic­he trasmesse allo Sdi – non c’è più bisogno di accedere ai locali dell’emittente o del destinatar­io per conoscere i contenuti.

Altro punto importante: evitare la descrizion­e delle (pressochè inverosimi­li) commistion­i tra prestazion­i assai disparate. In diverse pronunce (ad esempio, 15177/2016 e 21980/2015) la Suprema corte ha affermato che «va da sè, dunque, che un’indicazion­e generica dell’operazione fatturata – che, come nella specie, accorpi indistinta­mente in un’unica descrizion­e attività assai disparate sotto il profilo del loro contenuti, spaziando da attività materiali (trasporto e magazzinag­gio), ad attività d’ordine (tenuta contabilit­à), ad attività a più alto contenuto di profession­alità (promozione vendite) e ad attività del tutto generiche (servizi profession­ali e marketing) – non soddisfa le finalità conoscitiv­e che la norma intende assicurare».

Tutto ciò senza dimenticar­e che, fuori dallo stretto ambito tributario, la fattura regolarmen­te compilata rappresent­a la prova scritta necessaria per ottenere la tutela del credito in sede giurisdizi­onale, quale dimostrazi­one cartolare della sussistenz­a dell’operazione effettuata, invertendo l’onere della prova sul debitore.

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