Ma la Corte Ue consente di visionare l’intero fascicolo
L’«oscuramento» di alcuni documenti va motivata in modo puntuale dal Fisco
La difesa del contribuente è particolarmente difficile nelle ipotesi in cui la pretesa contenuta nell’atto impositivo sia fondata pressoché esclusivamente sulle risultanze di indagini penali eseguite a carico di terzi, dalle quali in qualche modo emerge la responsabilità del contribuente. E questo, in particolare, quando tale responsabilità emerga da intercettazioni telefoniche, ambientali o interrogatori riportati nell’accertamento solo per stralcio. È evidente, infatti, che non avendo cognizione delle conversazioni o degli interrogatori nella loro interezza diventa arduo potersi difendere di fronte a qualche affermazione che invece – ricondotta a un contesto più ampio e delineato o a una specifica domanda o raffrontata ad altre affermazioni – potrebbe cambiare significato e valore.
La Corte di giustizia (sentenza C189/18) ha ritenuto che, qualora il Fisco intenda fondare la propria decisione su elementi di prova ottenuti nell’ambito di procedimenti penali e di procedimenti amministrativi connessi avviati nei confronti dei propri fornitori, il contribuente deve poter accedere a tali elementi. Nella specie non soddisfaceva tale requisito non aver dato al soggetto passivo interessato alcun accesso agli elementi comunicandogli indirettamente, sotto forma di sintesi, solo alcuni di essi, selezionati dall’amministrazione.
La vicenda esaminata dai giudici comunitari concerneva il disconoscimento della detrazione Iva in conseguenza di risultanze penali a seguito di un’indagine effettuata nei confronti di terzi soggetti, diversi dal destinatario del provvedimento fiscale.
È stato inoltre affermato che si deve consentire al soggetto passivo di accedere ai documenti che non servono direttamente a fondare la decisione dell’amministrazione ma possono essere utili per l’esercizio dei diritti della difesa, in particolare agli elementi a discarico che l’amministrazione ha potuto raccogliere (in tal senso anche sentenza C358/16). In conclusione, quindi, la Corte di giustizia ha ritenuto che solo l’integrità delle prove raccolte possa consentire il pieno esercizio del diritto di difesa, atteso che gli unici elementi riportati del Fisco per sintesi, verosimilmente potrebbero essere esclusivamente a sostegno della propria tesi.
Per completezza, la Corte ha anche rilevato che, per tutelare la privacy dei terzi ovvero l’efficacia dell’azione repressiva, non osta una norma nazionale che riduca l’accesso a talune informazioni e a determinati documenti. Va perciò escluso un obbligo generale a carico del Fisco di fornire l’accesso integrale al fascicolo di cui dispone, solo a condizione che sussistano interessi generali che giustifichino la restrizione. Ne consegue in concreto che l’ufficio dovrebbe indicare le ragioni della “parzialità” delle informazioni fornite altrimenti si rischia che vengano riportate soltanto le dichiarazioni/conversazioni favorevoli alla pretesa erariale senza considerare l’ulteriore materiale.
Peraltro, sotto un profilo più “formale” l’assenza di allegazione di tali elementi nella loro interezza, vìola anche l’obbligo di motivazione previsto dall’articolo 7 della legge 212/2000, e dall’articolo 42 del Dpr 600/73, non a caso posto a tutela del diritto di difesa.