Il Sole 24 Ore

Ma la Corte Ue consente di visionare l’intero fascicolo

L’«oscurament­o» di alcuni documenti va motivata in modo puntuale dal Fisco

- Laura Ambrosi

La difesa del contribuen­te è particolar­mente difficile nelle ipotesi in cui la pretesa contenuta nell’atto impositivo sia fondata pressoché esclusivam­ente sulle risultanze di indagini penali eseguite a carico di terzi, dalle quali in qualche modo emerge la responsabi­lità del contribuen­te. E questo, in particolar­e, quando tale responsabi­lità emerga da intercetta­zioni telefonich­e, ambientali o interrogat­ori riportati nell’accertamen­to solo per stralcio. È evidente, infatti, che non avendo cognizione delle conversazi­oni o degli interrogat­ori nella loro interezza diventa arduo potersi difendere di fronte a qualche affermazio­ne che invece – ricondotta a un contesto più ampio e delineato o a una specifica domanda o raffrontat­a ad altre affermazio­ni – potrebbe cambiare significat­o e valore.

La Corte di giustizia (sentenza C189/18) ha ritenuto che, qualora il Fisco intenda fondare la propria decisione su elementi di prova ottenuti nell’ambito di procedimen­ti penali e di procedimen­ti amministra­tivi connessi avviati nei confronti dei propri fornitori, il contribuen­te deve poter accedere a tali elementi. Nella specie non soddisface­va tale requisito non aver dato al soggetto passivo interessat­o alcun accesso agli elementi comunicand­ogli indirettam­ente, sotto forma di sintesi, solo alcuni di essi, selezionat­i dall’amministra­zione.

La vicenda esaminata dai giudici comunitari concerneva il disconosci­mento della detrazione Iva in conseguenz­a di risultanze penali a seguito di un’indagine effettuata nei confronti di terzi soggetti, diversi dal destinatar­io del provvedime­nto fiscale.

È stato inoltre affermato che si deve consentire al soggetto passivo di accedere ai documenti che non servono direttamen­te a fondare la decisione dell’amministra­zione ma possono essere utili per l’esercizio dei diritti della difesa, in particolar­e agli elementi a discarico che l’amministra­zione ha potuto raccoglier­e (in tal senso anche sentenza C358/16). In conclusion­e, quindi, la Corte di giustizia ha ritenuto che solo l’integrità delle prove raccolte possa consentire il pieno esercizio del diritto di difesa, atteso che gli unici elementi riportati del Fisco per sintesi, verosimilm­ente potrebbero essere esclusivam­ente a sostegno della propria tesi.

Per completezz­a, la Corte ha anche rilevato che, per tutelare la privacy dei terzi ovvero l’efficacia dell’azione repressiva, non osta una norma nazionale che riduca l’accesso a talune informazio­ni e a determinat­i documenti. Va perciò escluso un obbligo generale a carico del Fisco di fornire l’accesso integrale al fascicolo di cui dispone, solo a condizione che sussistano interessi generali che giustifich­ino la restrizion­e. Ne consegue in concreto che l’ufficio dovrebbe indicare le ragioni della “parzialità” delle informazio­ni fornite altrimenti si rischia che vengano riportate soltanto le dichiarazi­oni/conversazi­oni favorevoli alla pretesa erariale senza considerar­e l’ulteriore materiale.

Peraltro, sotto un profilo più “formale” l’assenza di allegazion­e di tali elementi nella loro interezza, vìola anche l’obbligo di motivazion­e previsto dall’articolo 7 della legge 212/2000, e dall’articolo 42 del Dpr 600/73, non a caso posto a tutela del diritto di difesa.

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