Nuove specifiche: più facile integrare gli acquisti intraUe
Per le operazioni interne da fornitori non residenti si risolve con l’autofattura
Quando il fornitore è estero, può essere difficile imporre l’indicazione in fattura di diciture richieste dalle norme o dalla prassi italiane. Un caso è quello del credito d’imposta per gli investimenti 2020, poiché nulla vieta che gli acquisti siano eseguiti presso fornitori comunitari o anche importando i beni agevolabili (l’importante è che gli investimenti siano destinati a strutture ubicate nel territorio dello Stato). Il problema può essere risolto in via interpretativa dando rilevanza alla documentazione di corredo (si vedano gli articoli in pagina e Il Sole 24 Ore del 9 febbraio) e osservando i più recenti orientamenti della giurisprudenza.
Grazie alle nuove specifiche tecniche della fattura elettronica (approvate con il provvedimento n. 99922/2020), applicabili su base volontaria dal 4 maggio, ci sono però situazioni che potrebbero essere sistemate in modo meno laborioso. È il caso degli acquisti intracomunitari di beni e degli acquisti interni da fornitori non residenti in Italia (ex articolo 17, comma 2, Dpr 633/72). In entrambe le situazioni, gli obblighi fanno capo all’operatore nazionale, che provvede a integrare la fattura esteraoa emettere autofattura a seconda dei casi. Con le nuove codifiche, infatti, è possibile inviare allo Sdi i documenti utilizzati per attuare il reverse charge (peraltro “risparmiando” l’esterometro), fornendo puntuali informazioni sull’operazione. Il codice è “TD18” per gli acquisti intraUe e “TD19” in caso d’integrazione o emissione di autofattura per acquisti interni da fornitori comunitari o extraUe.
Nell’ipotesi di autofattura, la dicitura relativa alla tipologia di acquisto, a ben vedere, è di pertinenza di chi emette il documento, vista l’integrale inversione dei ruoli di cedente e cessionario. Mentre, nell’ipotesi di acquisto intraUe, si tratterebbe di estendere il concetto d’integrazione della fattura estera, ammettendo che essa comprenda quegli elementi che dipendono da prescrizioni interne dello Stato dell’acquirente. Entrambe le fattispecie richiedono una semplice conferma che, oltretutto, sarebbe anche nell’interesse di chi deve controllare.
Nulla cambia, comunque, a livello di descrizione dell’operazione. Anche lefatture estere dovrebbero infatti permettere d’individuare natura, qualità e quantità dei beni (sempre che tali informazioni non siano univocamente rintracciabili nella documentazione di supporto dell’operazione e che ciò sia debitamente valorizzato in caso di controllo). Analoga precisione dev’essere posta nel caso in cui si tratti di fatture emesse a titolo d’acconto, sia da fornitori nazionali che esteri.
Se è vero che le fatture d’acconto esprimono l’adempimento parziale dell’obbligazione cui si riferiscono, e ne seguono il regime (circolare 4/1979), è anche vero che la necessità che i beni/servizi siano specificamente individuati nel momento della fatturazione in acconto è confermata dalle sentenze della Corte di giustizia Ue (causa C-419/02 e cause riunite C-660-661/16, quest’ultima con precisazioni in merito alla consapevolezza della fattibilità dell’operazione cui si collega la fattura d’acconto) e della Cassazione (sentenza 10606/2015).