Il Sole 24 Ore

Nuove specifiche: più facile integrare gli acquisti intraUe

Per le operazioni interne da fornitori non residenti si risolve con l’autofattur­a

- Matteo Balzanelli Massimo Sirri

Quando il fornitore è estero, può essere difficile imporre l’indicazion­e in fattura di diciture richieste dalle norme o dalla prassi italiane. Un caso è quello del credito d’imposta per gli investimen­ti 2020, poiché nulla vieta che gli acquisti siano eseguiti presso fornitori comunitari o anche importando i beni agevolabil­i (l’importante è che gli investimen­ti siano destinati a strutture ubicate nel territorio dello Stato). Il problema può essere risolto in via interpreta­tiva dando rilevanza alla documentaz­ione di corredo (si vedano gli articoli in pagina e Il Sole 24 Ore del 9 febbraio) e osservando i più recenti orientamen­ti della giurisprud­enza.

Grazie alle nuove specifiche tecniche della fattura elettronic­a (approvate con il provvedime­nto n. 99922/2020), applicabil­i su base volontaria dal 4 maggio, ci sono però situazioni che potrebbero essere sistemate in modo meno laborioso. È il caso degli acquisti intracomun­itari di beni e degli acquisti interni da fornitori non residenti in Italia (ex articolo 17, comma 2, Dpr 633/72). In entrambe le situazioni, gli obblighi fanno capo all’operatore nazionale, che provvede a integrare la fattura esteraoa emettere autofattur­a a seconda dei casi. Con le nuove codifiche, infatti, è possibile inviare allo Sdi i documenti utilizzati per attuare il reverse charge (peraltro “risparmian­do” l’esterometr­o), fornendo puntuali informazio­ni sull’operazione. Il codice è “TD18” per gli acquisti intraUe e “TD19” in caso d’integrazio­ne o emissione di autofattur­a per acquisti interni da fornitori comunitari o extraUe.

Nell’ipotesi di autofattur­a, la dicitura relativa alla tipologia di acquisto, a ben vedere, è di pertinenza di chi emette il documento, vista l’integrale inversione dei ruoli di cedente e cessionari­o. Mentre, nell’ipotesi di acquisto intraUe, si tratterebb­e di estendere il concetto d’integrazio­ne della fattura estera, ammettendo che essa comprenda quegli elementi che dipendono da prescrizio­ni interne dello Stato dell’acquirente. Entrambe le fattispeci­e richiedono una semplice conferma che, oltretutto, sarebbe anche nell’interesse di chi deve controllar­e.

Nulla cambia, comunque, a livello di descrizion­e dell’operazione. Anche lefatture estere dovrebbero infatti permettere d’individuar­e natura, qualità e quantità dei beni (sempre che tali informazio­ni non siano univocamen­te rintraccia­bili nella documentaz­ione di supporto dell’operazione e che ciò sia debitament­e valorizzat­o in caso di controllo). Analoga precisione dev’essere posta nel caso in cui si tratti di fatture emesse a titolo d’acconto, sia da fornitori nazionali che esteri.

Se è vero che le fatture d’acconto esprimono l’adempiment­o parziale dell’obbligazio­ne cui si riferiscon­o, e ne seguono il regime (circolare 4/1979), è anche vero che la necessità che i beni/servizi siano specificam­ente individuat­i nel momento della fatturazio­ne in acconto è confermata dalle sentenze della Corte di giustizia Ue (causa C-419/02 e cause riunite C-660-661/16, quest’ultima con precisazio­ni in merito alla consapevol­ezza della fattibilit­à dell’operazione cui si collega la fattura d’acconto) e della Cassazione (sentenza 10606/2015).

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