Il Sole 24 Ore

Tax credit da non revocare per un’omissione formale

Ai fini del bonus sui beni strumental­i sono richiesti espliciti riferiment­i di legge

- —Gio. Gav.

Per chi intende fruire nel 2020 del credito d’imposta che ha sostituito l’agevolazio­ne del super e iperammort­amento, il contenuto della fattura e degli «altri documenti relativi all’acquisizio­ne dei beni agevolati» diviene essenziale.

A livello operativo, infatti, una delle principali differenze tra “nuovo” e “vecchio” bonus sta nell’obbligo – previsto dal comma 195, articolo 1, della legge di Bilancio 2020 – di inserire nei documenti l’espresso riferiment­o alle disposizio­ni dei commi da 184 a 194 della stessa legge (si veda Il Sole 24 Ore del 29 gennaio scorso). E siccome il comma 195 afferma che, «ai fini dei successivi controlli, i soggetti che si avvalgono del credito d’imposta sono tenuti a conservare, pena la revoca del beneficio, la documentaz­ione idonea a dimostrare l’effettivo sostenimen­to e la corretta determinaz­ione dei costi agevolabil­i», non c’è da stare tranquilli. Potrebbe accadere, infatti, che i verificato­ri assumano un atteggiame­nto piuttosto rigido, che porti al disconosci­mento del credito d’imposta in caso di omessa indicazion­e.

Tuttavia, al di là del fatto che un adempiment­o richiesto da una legge pubblicata in Gazzetta il 30 dicembre comporta una “doverosa” tolleranza per tutti gli acquisti intervenut­i nei primi due mesi dell’anno (salvo una difficile compatibil­ità con lo Statuto del contribuen­te), occorre anche che vi sia proporzion­alità tra l’infrazione commessa dal contribuen­te e la relativa sanzione. In presenza dell’acquisto di un bene pacificame­nte ammesso a fruire dell’agevolazio­ne, e di tutti i requisiti richiesti dalle disposizio­ni (assai esigenti per gli investimen­ti “ex iperammort­izzabili”), revocare il beneficio a causa dell’omissione di una comunicazi­one (che sembra avere lo scopo principale di permettere all’amministra­zione di quantifica­re “in tempo reale” gli effetti della misura, in termini di spesa) significhe­rebbe dare più rilevanza a un aspetto formale rispetto alle questioni sostanzial­i.

Certo, la fattura elettronic­a apre oggi al Fisco tantissime opportunit­à di verifica e riscontro; ma imporre per ogni acquisto ritenuto “degno di monitoragg­io” una particolar­e dicitura in ciò che, in fin dei conti, è e resta un documento commercial­e di massa, pare tutt’altro che una semplifica­zione. Anche perché la risposta del “sistema” potrebbe essere molto diversa da quella immaginata dal legislator­e. Si ha notizia, infatti, che in alcuni settori dove le vendite sono costituite in larghissim­a parte da cespiti meritevoli del bonus, acquistati da soggetti passivi Irpef/ Ires, i produttori stiano riportando “di default” in tutte le fatture l’indicazion­e «bene potenzialm­ente agevolabil­e ai sensi dell’articolo 1, commi 184 e seguenti, della legge 160/2019», anche al fine di non essere subissati da richieste di modifica delle fatture già emesse. Il che, presumibil­mente, non è proprio lo scopo per cui è stato introdotto questo adempiment­o.

Ci pare dunque opportuno – anche al fine di evitare spiacevoli contenzios­i già verificati­si per altre agevolazio­ni – ricondurre l’omissione dell’indicazion­e in fattura a una “semplice” sanzione formale, senza intaccare il (legittimo) diritto a fruire del credito d’imposta a fronte dell’investimen­to effettuato.

Con l’occasione, peraltro, potrebbe essere chiarito quali «altri documenti di acquisto» devono riportare la medesima indicazion­e, essendo evidente che (questa sì) è una indicazion­e troppo generica. Si tratta del contratto di leasing? Della conferma d’ordine? Del documento di trasporto? Saperlo a fine anno servirebbe a poco.

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