Il Sole 24 Ore

Euroritenu­ta non rimborsata a chi fa la voluntary

Chiusura della Ctp Milano ma la giurisprud­enza non ha unico orientamen­to

- Davide Settembre

Il contribuen­te che ha aderito alla voluntary disclosure non ha diritto al rimborso dell’euroritenu­ta. È il principio affermato dalla Ctp di Milano con la recente sentenza 421/2/20 (presidente e relatore Pilello), anche se la giurisprud­enza sul punto è tutt’altro che pacifica.

Nel caso esaminato, il contribuen­te aveva aderito alla procedura di collaboraz­ione volontaria (voluntary disclosure), al fine di regolarizz­are i redditi detenuti all’estero (interessi su obbligazio­ni) in violazione delle norme sul monitoragg­io. Il contribuen­te, dopo avere perfeziona­to la procedura mediante il pagamento delle imposte dovute, aveva chiesto il rimborso dell’euroritenu­ta operata dalle banche estere sui medesimi redditi, con il fine di garantire l’anonimato del correntist­a.

Il richiedent­e, infatti, sosteneva che i redditi oggetto di regolarizz­azione fossero stati oggetto di doppia imposizion­e, vietata dalla direttiva 2003/48/CE (direttiva Risparmio) e dalla normativa interna di recepiment­o (Dlgs 84 del 2005).

Il silenzio-rifiuto dell’ufficio era stato impugnato dinanzi la

Ctp di Milano. I giudici lombardi hanno respinto il ricorso. Per i giudici, in particolar­e, la legge 186/2014, che ha introdotto la procedura di collaboraz­ione volontaria, avrebbe riprodotto una sorta di «accertamen­to con adesione». E per questa ragione, una volta perfeziona­ta, con il pagamento dell’imposta liquidata dall’ufficio, non vi sarebbe la possibilit­à né per il contribuen­te di impugnare né per l’ufficio di modificare le risultanze di questa procedura.

Al riguardo i giudici richiamano la sentenza della Corte di cassazione 29587 del 2011, in base alla quale «poiché avverso l’accertamen­to definito per adesione è preclusa ogni forma di impugnazio­ne, devono ritenersi improponib­ili anche le istanze di rimborso in quanto costituire­bbero una surrettizi­a forma di impugnazio­ne dell’accertamen­to in questione che, invece, in conformità alla ratio dell’istituto, deve ritenersi intangibil­e».

Ne consegue che il pagamento dell’imposta liquidata a conclusion­e della procedura debba ritenersi effettuato a titolo definitivo, ai sensi dell’articolo 2 del Dlgs 218/1997.

Inoltre, i giudici hanno affermato che il contribuen­te, avendo perfeziona­to la procedura malgrado il mancato riconoscim­ento del credito di imposta, avrebbe di fatto (sebbene implicitam­ente) manifestat­o acquiescen­za.

Occorre, tuttavia, evidenziar­e che si registrano anche molte sentenze di segno opposto dei giudici di merito sia in primo che in secondo grado, che riconoscon­o il diritto al rimborso dell’euroritenu­ta, in quanto si avrebbe altrimenti una doppia tassazione, vietata dall’articolo 14 della direttiva 2003/48/CE e dall’articolo 10 del Dlgs 84 del 2005, che ha recepito tale direttiva nel nostro ordinament­o (si vedano le sentenze della Ctp di Milano 131/2019 e Ctr Lombardia 3017/2019).

La parola fine potrà essere quindi scritta dalla Corte di cassazione, con la possibilit­à (sempre se gli uffici resisteran­no in giudizio) di un rinvio pregiudizi­ale alla Corte di giustizia, in quanto la questione riguarda l’interpreta­zione di una norma comunitari­a.

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