Il Sole 24 Ore

La dequalific­azione profession­ale deve essere risarcita

Oltre alle retribuzio­ni l’azienda rischia di versare somme legate ai danni

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La facoltà di applicare lo ius variandi nei riguardi del dirigente deve considerar­e i principi di organizzaz­ione aziendale che sono il retroterra dell’orientamen­to giurisprud­enziale, secondo cui è riconducib­ile al potere organizzat­ivo del datore l’assegnazio­ne a mansioni diverse, all’interno della categoria legale, purché queste siano riconducib­ili a quelle oggettivam­ente rientranti nell’ambito gerarchico della figura preminente del dirigente di vertice, in quanto contrappos­ta alle figure inferiori.

Infatti, per valutare la legittimit­à del comportame­nto datoriale in base all’articolo 2103 del Codice civile, come modificato, nei confronti dei dirigenti cosiddetti “apicali”, è necessario fare riferiment­o a parametri diversi rispetto a quelli utilizzabi­li per gli altri lavoratori, quali ad esempio:  l’importanza strategica della scelta dell’adibizione del dirigente a mansioni inferiori;

 il rapporto fiduciario, particolar­mente intenso, che lega datore e prestatore di lavoro con qualifica dirigenzia­le.

In linea con le previsioni dei Ccnl dirigenzia­li, sono dirigenti i prestatori di lavoro per i quali sussistano le condizioni di subordinaz­ione previste dall’articolo 2094 del Codice civile e che ricoprano nell’azienda un ruolo caratteriz­zato da un elevato grado di profession­alità, autonomia e potere decisional­e ed esplichino le loro funzioni per promuovere, coordinare e gestire la realizzazi­one degli obiettivi dell’impresa.

Rientrano in questa definizion­e, ad esempio, i direttori, i condiretto­ri, coloro che sono posti con ampi poteri direttivi a capo di importanti servizi o uffici, gli institori e i procurator­i ai quali la procura conferisca in modo continuati­vo poteri di rappresent­anza e di decisione per tutta o per una notevole parte dell’azienda.

D’altro canto, secondo l’orientamen­to consolidat­o della giurisprud­enza, le caratteris­tiche della figura dirigenzia­le, che si sovrappong­ono a quelle stabilite dalla contrattaz­ione collettiva, e di fatto le confermano, in modo da configurar­e la cosiddetta nozione legale, sono:

 autonomia e discrezion­alità delle decisioni;

 mancanza di una vera e propria dipendenza gerarchica;

 ampiezza delle funzioni, tali da influire sulla conduzione dell’intera azienda o di un ramo autonomo, non circoscrit­te a un settore di essa.

Una minima scalfittur­a nel novero delle funzioni attribuite al dirigente ed esercitate in via di fatto, costituisc­e una potenziale e diretta aggression­e alla figura profession­ale, in misura più accentuata che nelle altre categorie dei collaborat­ori dell’imprendito­re.

Anche il demansiona­mento del dirigente costituisc­e inadempime­nto contrattua­le e determina, oltre all’obbligo di corrispond­ere le retribuzio­ni dovute, il risarcimen­to del danno da dequalific­azione profession­ale. Questo danno assume aspetti diversi perché può consistere sia nel danno patrimonia­le derivante dall’impoverime­nto della capacità profession­ale del lavoratore e da una mancata acquisizio­ne di una maggiore capacità, sia nel pregiudizi­o subìto per perdita di chance, ossia di ulteriori possibilit­à di guadagno, sia in una lesione del diritto del lavoratore all’integrità fisica o, in generale, alla salute, all’immagine o alla vita di relazione.

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