La dequalificazione professionale deve essere risarcita
Oltre alle retribuzioni l’azienda rischia di versare somme legate ai danni
La facoltà di applicare lo ius variandi nei riguardi del dirigente deve considerare i principi di organizzazione aziendale che sono il retroterra dell’orientamento giurisprudenziale, secondo cui è riconducibile al potere organizzativo del datore l’assegnazione a mansioni diverse, all’interno della categoria legale, purché queste siano riconducibili a quelle oggettivamente rientranti nell’ambito gerarchico della figura preminente del dirigente di vertice, in quanto contrapposta alle figure inferiori.
Infatti, per valutare la legittimità del comportamento datoriale in base all’articolo 2103 del Codice civile, come modificato, nei confronti dei dirigenti cosiddetti “apicali”, è necessario fare riferimento a parametri diversi rispetto a quelli utilizzabili per gli altri lavoratori, quali ad esempio: l’importanza strategica della scelta dell’adibizione del dirigente a mansioni inferiori;
il rapporto fiduciario, particolarmente intenso, che lega datore e prestatore di lavoro con qualifica dirigenziale.
In linea con le previsioni dei Ccnl dirigenziali, sono dirigenti i prestatori di lavoro per i quali sussistano le condizioni di subordinazione previste dall’articolo 2094 del Codice civile e che ricoprano nell’azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplichino le loro funzioni per promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa.
Rientrano in questa definizione, ad esempio, i direttori, i condirettori, coloro che sono posti con ampi poteri direttivi a capo di importanti servizi o uffici, gli institori e i procuratori ai quali la procura conferisca in modo continuativo poteri di rappresentanza e di decisione per tutta o per una notevole parte dell’azienda.
D’altro canto, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, le caratteristiche della figura dirigenziale, che si sovrappongono a quelle stabilite dalla contrattazione collettiva, e di fatto le confermano, in modo da configurare la cosiddetta nozione legale, sono:
autonomia e discrezionalità delle decisioni;
mancanza di una vera e propria dipendenza gerarchica;
ampiezza delle funzioni, tali da influire sulla conduzione dell’intera azienda o di un ramo autonomo, non circoscritte a un settore di essa.
Una minima scalfittura nel novero delle funzioni attribuite al dirigente ed esercitate in via di fatto, costituisce una potenziale e diretta aggressione alla figura professionale, in misura più accentuata che nelle altre categorie dei collaboratori dell’imprenditore.
Anche il demansionamento del dirigente costituisce inadempimento contrattuale e determina, oltre all’obbligo di corrispondere le retribuzioni dovute, il risarcimento del danno da dequalificazione professionale. Questo danno assume aspetti diversi perché può consistere sia nel danno patrimoniale derivante dall’impoverimento della capacità professionale del lavoratore e da una mancata acquisizione di una maggiore capacità, sia nel pregiudizio subìto per perdita di chance, ossia di ulteriori possibilità di guadagno, sia in una lesione del diritto del lavoratore all’integrità fisica o, in generale, alla salute, all’immagine o alla vita di relazione.