Tari, i «prestatori di servizi» non compilano il piano
Il Comune può affidare a strutture interne «terze» la validazione del Pef Mancano le competenze e spuntano società private con offerte chiavi in mano
Il 30 aprile si avvicina e l’applicazione del nuovo metodo tariffario della Tari inizia a entrare nel vivo, tra incertezze, primi battibecchi tra Comuni, Ato territoriali e società che svolgono il servizio.
La delibera 57/2020 (Sole 24 Ore di venerdì scorso) prova a fornire i primi chiarimenti, che si aggiungono a quelli della nota di lettura Ifel del giorno prima.
Arera prende atto che lungo la dorsale italiana la gestione dei rifiuti è caratterizzata da un sistema disomogeneo, a partire dalle Ato territoriali, istituite solo in alcune regioni, peraltro con funzioni e poteri non sempre uniformi.
Questa situazione forse non permette di attuare il disegno iniziale, che vedeva l’Ato territoriale come il soggetto che controlla e valida il piano economico finanziario (Pef) predisposto dal gestore, immaginando peraltro che questo fosse unico.
Ma la realtà è ben diversa, e spesso il servizio di gestione dei rifiuti è svolto mediante affidamento dei Comuni a più operatori e questo determina la paradossale situazione che il Comune predispone il Pef e se lo valida anche. Da qui la possibilità per «l’ente territorialmente competente», e cioè il Comune, di far svolgere l’attività di validazione a una specifica struttura o unità organizzativa del Comune stesso, dotata di adeguati profili di terzietà rispetto all’ufficio comunale preposto alla gestione dei rifiuti. Ma si tratta di una soluzione improbabile, per l’assenza di competenze così specifiche all’interno del Comune. Tanto è vero che stanno nascendo come funghi società che si propongono di formare e validare i Piani economico finanziari.
Un altro problema affrontato è quello del soggetto competente alla predisposizione del Pef laddove risultino operativi «più gestori» nell’ambito dei singoli servizi che compongono il sistema integrato di gestione dei rifiuti.
Qui la delibera, invero, non fornisce chiarimenti risolutivi, perché la linea di demarcazione tra gestore e prestatore di servizi non è sempre ben delineata. Sembra che quando i vari soggetti possano essere qualificati come gestori, allora il Comune, o l’Ato se istituita, predispongono un Pef che risulta essere la sommatoria dei singoli Pef predisposti dai vari gestori. Se invece i soggetti possono essere qualificati come meri prestatori di servizi, allora questi non sono tenuti a compilare il Pef, ma solo all’invio dei dati utili per la redazione dello stesso.
Infine, Arera affronta anche il delicato problema dell’approvazione delle tariffe all’utenza. Qui la normativa (articolo 1, comma 683 della legge 147/2013) prevede che il Comune approva le tariffe sulla base del Pef predisposto dal gestore e approvato dal Comune stesso, ovvero da «altra autorità competente».
Nella delibera n. 443/2019, al comma 6.5, si afferma che il Pef è approvato da Arera, e al comma successivo si precisa che nelle more dell’approvazione si applicano «i prezzi massimi» del servizio validati dal Comune, o dall’Ato se presente. Ora, posto che i prezzi massimi sono quelli del servizio e non le tariffe all’utenza, l’applicazione rigida della delibera 443/2019 porterebbe a dire che il Comune non può deliberare le tariffe fintanto che Arera non abbia approvato il Pef, il che appare molto difficile.
Ma qui all’evidenza si tratta di un problema di linguaggio usato nella delibera 443 che confligge con la nomenclatura giuridica tipica della Tari. Per questa ragione, nella delibera 57 si precisa che se il Pef è approvato con modifiche, l’Autorità disciplinerà anche gli «effetti alla luce della normativa vigente», che in tema di Tari vuol dire comunque rispettare i termini perentori di approvazione delle delibere tariffarie.
In altri termini, entro il 30 aprile il Comune dovrà approvare le tariffe sulla base del Pef approvato/validato, in termini di prezzi massimi, dall’Ato territoriale o dal Comune stesso in assenza di Ato.