Vaccino italiano pronto al test
L’azienda Reithera lo ha sviluppato in laboratorio: ora i test sugli animali e poi sull’uomo, si punta a collaborare con lo Spallanzani - In larga scala da novembre
Sconfiggere un virus con un altro virus. È la strategia messa a punto dall’azienda biotecnologica tutta italiana ReiThera che alle porte di Roma ha messo a punto in laboratorio un vaccino contro il nuovo coronavirus e ora LO testerà sugli animali e poi sull’uomo: «Utilizziamo un virus innocuo per l’uomo come fosse una navicella per trasportare il gene della proteina spike che si trova sulla superfice del coronavirus. In questo modo, si riesce a indurre una risposta immunitaria specifica mediata dagli anticorpi contro il coronavirus». Antonella Folgori, biologa con una lunga esperienza, è la Ceo e una delle cofondatrici di questa azienda nata solo sei anni fa e da due operativa a Castel Romano, a due passi dalla Capitale, una struttura modernissima che oltre agli avanzatissimi laboratori sui cui banconi viene ingegnerizzato il vaccino può contare sugli impianti di produzione Gmp (Good manufacturing practice) in grado di realizzare i lotti di vaccino idonei alla somministrazione nell’uomo. «Qui possiamo realizzare tutti gli step necessari: dall’ideazione del vaccino allo sviluppo ed infine alla manifattura rispettando le norme di buona fabbricazione e per questo siamo in grado di ridurre i tempi al massimo. Abbiamo cominciato a lavorare a inizio febbraio e ora abbiamo completato la fase pre-clinica del vaccino e siamo pronti per testarlo sugli animali. Se riusciremo ad andare spediti a maggio avremo 10mila dosi da poter testare sull’uomo, magari anche in categorie più esposte come il personale sanitario, se l’emergenza lo dovesse richiedere». Reithera, nonostante sia un’azienda giovane ha in realtà, nel suo Dna, una lunga esperienza che risale al 2007 e che vede quattro ricercatori della multinazionale farmaceutica Merck Sharp & Dome costituire la spin off Okairos dedicata allo sviluppo di vaccini innovativi contro le malattie infettive. La loro avventura attira l’interesse di Big Pharma e nel 2013 Okairos viene acquistata da Glaxo Smith Kline per 250 milioni di euro. Ma gli stessi ricercatori, dopo la exit, hanno deciso di rimettersi in gioco fondando una nuova biotech : da qui il nome Reithera. Il loro successo si basa sull’impiego degli adenovirus come vettori delle proteine prelevate da altri virus patogeni contro cui si vuole scatenare la risposta immunitaria, un processo brevettato e già impiegato per altri vaccini come quelli contro ebola, malaria e contro il virus respiratorio sinciziale, su cui ora lavora Gsk: «Il nostro vettore virale è stato isolato dai primati simili all’uomo come scimpanzé e gorilla, se lo avessimo fatto con adenovirus umani il nostro vettore navicella sarebbe stato bloccato mentre nell’uomo non esiste immunità contro gli adenovirus di scimmia», spiega Stefano Colloca, Chief technology officer e ideatore della tecnologia e tra i cofondatori di ReiThera. Che ora passerà ai test sugli animali e subito dopo al test in vitro sul coronavirus. Un passaggio, questo, che richiederà la collaborazione dello Spallanzani, uno dei primi istituti al mondo ad aver isolato il coronavirus prelevando un campione da un paziente contagiato dal Covid-19, che ha offerto la sua collaborazione: «Noi gli daremo il siero degli animali vaccinati – aggiunge Folgori - in cui si suppone che ci siano anticorpi indotti dal vaccino e questo viene testato in vitro sul coronavirus vero e proprio isolato dallo Spallanzani per vedere se è efficace». La speranza dei ricercatori è di poterlo fare già ad aprile per poi trasferire il processo nell’officina di produzione dove viene prodotto il lotto clinico da iniettare nell’uomo: «Se riusciremo a comprimere al massimo i tempi anche con l’autorità regolatoria che in questo caso è l’Istituto Superiore di Sanità potremmo produrre le prime 10mila dosi del vaccino già a maggio con l’obiettivo di arrivare al test sull’uomo in tempi rapidi. Al momento Reithera sta lavorando senza sosta per attivare alleanze strategiche e per trovare finanziamenti che permettano che un vaccino tutto italiano possa entrare nella corsa per arrestare il contagio del coronavirus».
I test sull’uomo saranno il passaggio essenziale che permetterà di arrivare alla commercializzazione. E si tratta ovviamente di quello più delicato dove si dovrà dimostrare la sicurezza e poi l’efficacia del vaccino sui soggetti volontari sani con platee prima più piccole e poi più grandi. «In questo caso difficilmente i tempi potranno essere ridotti a meno di sei mesi. Ma nulla esclude, nel caso l’emergenza restasse alta, di poterlo testare su categorie ad alto rischio di contagio, come appunto il personale sanitario». Insomma l’utilizzo su più larga scala sarà possibile solo verso novembredicembre. Ma a quel punto non sarà inutile perché il coronavirus non sarà più così temibile? «No – risponde Folgori – perché questo virus non lo conosciamo e non sappiamo come si comporterà e poi come altri virus potrebbe restare presente per anni. Contro di loro è sempre meglio essere preparati. Inoltre sviluppare questo vaccino ci aiuterà a essere pronti ancora meglio per il prossimo virus».
Se il vaccino si dimostrerà efficace potrebbe essere impiegato per il personale sanitario