L’ottimismo di Mosca: «Vinceremo la sfida, abbiamo le risorse»
La Russia ha una posizione finanziaria solida, ma verrà messa alla prova nel tempo
La stabilità macroeconomica e finanziaria del Paese non è a rischio: il governo russo ostenta sicurezza. Le riserve accumulate negli ultimi anni, ha detto ieri il ministro delle Finanze, Anton Siluanov, alla riunione convocata dal nuovo premier Mikhail Mishustin, sono sufficienti a resistere con un prezzo del petrolio a 25/30 dollari il barile anche per 6/10 anni. È il momento di ringraziare la fortezza finanziaria costruita a Mosca per affrontare l’era delle sanzioni che hanno ridotto l’accesso ai mercati internazionali dei capitali: l’obiettivo era mettersi in condizione di stare in piedi da soli.
Così, malgrado il greggio in caduta libera e il rublo che ha toccato i minimi di quattro anni (scambiato a 74 sul dollaro (-8%) e a 85 sull’euro, un calo del 6,1%), la convinzione è poter vincere la sfida lanciata ai sauditi e agli altri produttori di petrolio quando i russi, venerdì scorso, hanno respinto la proposta di incrementare i tagli produttivi che dal 2016 a oggi hanno stabilizzato i prezzi dell’energia.
«La Russia - spiega Chris Weafer, responsabile della società di consulenza strategica Macro-Advisory - è meglio preparata rispetto al passato. Ed è in una posizione finanziaria migliore dei sauditi per affrontare una guerra dei prezzi. Le sue riserve finanziarie (pari a 570 miliardi di dollari secondo i dati della Banca centrale a fine febbraio, ndr) sono superiori di 80 miliardi di dollari a quelle di Riad; inoltre il rublo è una valuta flessibile, a differenza del rial saudita che è legato al dollaro. Può quindi scendere anche a 75 rubli sul dollaro, e il budget andrà in parità con il petrolio a 38 dollari circa anche senza aggiustamenti di spesa. Mentre i sauditi hanno bisogno di un barile a 85 dollari. Significa che è improbabile che Mosca ceda per prima, certamente non per i prossimi 3/6 mesi».
Ma in gioco non c’è solo l’equilibrio dei conti. Il calo del petrolio, unito all’emergenza coronavirus e al prezzo che presenterà all’economia globale, rischia di rovinare i piani del Cremlino. Nel discorso indirizzato alla nazione a metà gennaio, Vladimir Putin aveva messo chiaramente al centro dell’agenda del governo l’attenzione ai programmi sociali e a una serie di grandi progetti nazionali - infrastrutture, trasporti, logistica - con cui rilanciare la crescita e riaccendere la popolarità di cui il presidente russo ha bisogno per avviare le riforme istituzionali e la definizione del futuro assetto del potere.
A questo obiettivo era destinata la “potenza di fuoco” finanziaria che ora rischia di dover essere dedicata a consolidare il budget e a impedire un calo troppo brusco del rublo. Un rublo più debole si traduce in ossigeno per i conti del governo, dal momento che converte in maggiori entrate in guadagni in dollari del settore energetico. Ma nello stesso tempo rischia di riaccendere l’inflazione faticosamente riportata sotto controllo.
Per questa ragione sia il ministero delle Finanze che la Banca centrale russa si sono affrettati ieri ad annunciare le prime misure volte a stabilizzare il cambio: per i prossimi 30 giorni Bank Rossii sospenderà gli acquisti di valuta straniera, mentre il ministero delle Finanze che in questi ultimi anni riversava sul Fondo per il benessere nazionale quanto ricavato dalla vendita del petrolio sopra i 42,40 dollari il barile - ora venderà sul mercato valuta corrispondente ai guadagni perduti nel momento in cui i prezzi scendono sotto i 42,40.
Secondo Siluanov, le risorse dello Stato sono comunque sufficienti a rispettare gli impegni sociali così come a realizzare i grandi progetti nazionali che, ricorda Chris Weafer, «sono un programma molto ambizioso da 400 miliardi di dollari volto a trasformare l’economia e le condizioni di vita della popolazione entro maggio 2024, quando scadrà il mandato presidenziale di Putin».
Ma se tra qualche mese il prezzo del petrolio sarà ancora intorno ai 20/30 dollari il barile, non sarà facile mantenere impegni di spesa di questo livello senza ridurre le riserve finanziarie o prevedere un deficit di bilancio. Riaprendo il problema della vulnerabilità del Paese di fronte a nuove sanzioni: «Il Cremlino - scrive sul proprio blog Vladislav Inozemtsev, direttore del Centro di Studi post-industriali a Mosca - considerava questa guerra economica una passeggiata: che però potrebbe finire in una sconfitta catastrofica».