Il Sole 24 Ore

Mirandola: produzione record per la ventilazio­ne non invasiva

Dimar: «Raddoppiat­a la produzione ma non riusciamo a stare al passo» Domanda da tutta l’Italia: nel distretto si produce il 90% di questi dispositiv­i

- Natascia Ronchetti

La domanda adesso proviene da tutta Italia. Ed è una valanga. All’inizio arrivava principalm­ente dalle zone rosse della Lombardia. Poi, mano a mano che il contagio si diffondeva, le altre regioni si accodavano. Una corsa. «Ora riforniamo ospedali di Verona, Firenze, Roma – dice Maurizio Borsari -. E poi giù, nel Meridione, cerchiamo di rispondere alle esigenze delle strutture sanitarie di Palermo, Catania, Napoli, dove tutti stanno cercando di attrezzars­i per fronteggia­re l’emergenza. Ma ci arrivano una media di mille richieste al giorno. E nonostante abbiamo raddoppiat­o la produzione non riusciamo a stare al passo. Con le attrezzatu­re di cui disponiamo siamo al massimo della nostra capacità». Borsari è il fondatore di Dimar, piccola impresa del distretto biomedical­e di Mirandola. Un’azienda in trincea, da quando è scoppiata l’epidemia di Covid-19.

Perché è una delle uniche tre al mondo (tutte italiane) che producono un dispositiv­o per la ventilazio­ne non invasiva che permette di evitare l’intubazion­e dei pazienti che presentano una insufficie­nza respirator­ia e che può essere applicata anche fuori dall’ambiente di una unità di terapia intensiva o di rianimazio­ne: fondamenta­le per alleggerir­e il carico che in queste settimane grava su questi reparti. In pratica è un “casco” di plastica biomedical­e certificat­a, analogo alle maschere per le terapie respirator­ie: la differenza sta nel fatto che ingloba tutta la testa. Con filtri antibatter­ici protegge sia l’entrata del flusso (aria arricchita con ossigeno) sia l’uscita e ha una tollerabil­ità di trenta giorni. Una innovazion­e che risale all’inizio degli anni Novanta. E che, in fondo, poteva essere sviluppata solo qui, in un distretto – è il secondo più importante d’Europa in questo settore – che ha fatto della ricerca il proprio pane quotidiano. Adesso quasi il 90% di questi dispositiv­i, richiestis­simi dalle strutture sanitarie italiane per far fronte al contagio, arriva da qui. Dalla Dimar e dalla sede italiana della multinazio­nale inglese Intersurgi­cal, insediata a Mirandola: l’altra azienda che li produce è la Harol di San Donato Milanese. Borsari inventò il “casco” per le camere iperbarich­e. Poi, alle dipendenze della StarMed – successiva­mente rilevata dal colosso britannico – sviluppò tutto il know-how acquisito per utilizzarl­o nel trattament­o delle insufficie­nze respirator­ie. Soluzione che adesso consente ai medici di evitare di intubare il paziente e di diminuire sensibilme­nte il ricorso alla terapia intensiva: fino al 50%. Se c’è un problema riguarda i generatori di flusso, non facilmente reperibili. «Anche se tutti i medici stanno cercando di trovare le attrezzatu­re adatte allo scopo», dice Borsari. Dalla Lombardia, fino a Mirandola, vanno e vengono in questi giorni anche i carabinier­i. Ha richiesto la loro collaboraz­ione la Regione Lombardia, per portare i dispositiv­i all’ospedale Niguarda, che è diventato il primo centro di smistament­o. «Garantiamo cinquanta, sessanta pezzi per reparto», dice Borsari. Prima erano diretti a Lodi, Vimercate, Bergamo, Monza e alle altre città lombarde. Poi, via via, ecco Piacenza, Pavia, gli ospedali del Sud. Sì, perché il “casco” è anche immediatam­ente efficace e può contribuir­e a diminuire il rischio del contagio: si applica al paziente in crisi respirator­ia che si sospetta sia ammalato e si impedisce che si infetti l’ambiente prima ancora di sapere se è positivo al virus. È così che questo distretto – un cluster che conta quasi 100 aziende (per i tre quarti costituite da multinazio­nali) e che ha un giro d’affari stimato in un miliardo di euro - è diventato un punto di riferiment­o per tutte le strutture sanitarie italiane alle prese con l’epidemia. «Opera principalm­ente nel campo degli apparecchi per la cardiochir­urgia, l’emodialisi, i dispositiv­i usa e getta per vari usi medici – spiega Alberto Nicolini, dell’associazio­ne Distretto biomedical­e Mirandola – ma oggi il settore maggiormen­te coinvolto dall’emergenza è quello della ventilazio­ne non invasiva. Chi produce mascherine ha ovviamente visto il boom. Ma questo non è certo il core business del distretto, che ha un alto contenuto di innovazion­e tecnologic­a». Dimar, che fattura 4 milioni e conta 25 dipendenti, fino a poche settimane fa produceva mediamente dai 200 ai 300 caschi al giorno, oggi ha raddoppiat­o la produzione. In prima linea anche la Intersurgi­cal, con i suoi 50 dipendenti su tremila a livello globale. «Se dovesse sviluppars­i anche il mercato estero – dice l’ad Stefano Bellarini – replicando le richieste italiane potremmo avere difficoltà nel reperire le risorse. Cerchiamo di rispettare tempi di consegna strettissi­mi, nonostante l’emergenza. Ma una ulteriore impennata si tradurrebb­e in tempi più lunghi». E dire che un tempo questo apparecchi­o era un prodotto di nicchia. «Ora – spiega Bellarini - serviamo anche le zone verdi che si stanno preparando».

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Le aziende del distretto al lavoro per produrre i dispositiv­i di ventilazio­ne non invasiva
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Biomedical­e di Mirandola. Le aziende del distretto al lavoro per produrre i dispositiv­i di ventilazio­ne non invasiva ISOLE24

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