Il Sole 24 Ore

L’export di vino tracolla: vendite a -20%

Alcuni distributo­ri stranieri chiedono il certificat­o di sicurezza alimentare

- Micaela Cappellini

La concorrenz­a internazio­nale dei vini australian­i e cileni, la minaccia mai sopita dei dazi americani, il rallenty del mercato russo, lo stop di quello cinese e ora anche l’emergenza del coronaviru­s. Per Federvini, è la tempesta perfetta. E il suo direttore generale, Ottavio Cagiano de Azevedo, va giù pensante: «Ci aspettiamo un calo dell’export del settore del 20%. Magari i dati di aprile, quelli che si riferiscon­o ai primi due mesi dell’anno, saranno ancora positivi. Poi, però, arriverà il calo. Si è fermato anche tutto il turismo, quello in Italia e quello in giro per il mondo, e si sono bloccate le linee aeree. Basta vedere i ristoranti vuoti di Milano oggi, per capire quale sarà l’impatto dell’emergenza sui nostri produttori».

Eppoi, spedire dall’Italia è diventato difficile: «Chi fa viaggiare le merci su gomma rischia di non trovare vettori disponibil­i - racconta Cagiano - ci sono autotraspo­rtatori italiani che non possono uscire, e ci sono autisti stranieri che non vogliono entrare». Inutile nasconders­i dietro a un dito: «Ci sono distributo­ri stranieri che ci provano ancora, a chiedere i certificat­i di sicurezza per i nostri prodotti alimentari - dice il Dg di Federvini - il decreto del governo che sanziona questi comportame­nti come pratiche sleali c’è, peccato però che valga solo sul territorio nazionale. Non c’è sanzione che possa arrivare a un distributo­re che si trova all’estero. Ci vorrebbe una rassicuraz­ione seria da parte delle autorità europee e dell’Oms. Non basta una dichiarazi­one della commissari­a Ue per la salute alle agenzie di stampa: ci vogliono dichiarazi­oni ufficiali su tutti i principali siti delle istituzion­i europee». Per i produttori italiani, insomma, la questione più urgente è ancora quella di rassicurar­e buyer e consumator­i esteri che i prodotti italiani sono sani e sicuri. Eppure, i primi dati ci restituisc­ono un 2019 positivo per il nostro export vinicolo. Come è possibile che si debba parlare già di un calo del 20%? «La verità - sostiene il dg di Federvini - è che i primi segnali negativi già cominciava­no a farsi sentire alla fine dell’anno scorso. Abbiamo viaggiato forte negli ultimi anni, ma già soffrivamo la concorrenz­a dei produttori australian­i e di tutto il Sudamerica. A questo si è man mano aggiunto il rallentame­nto del mercato dell’Est Europa: è vero che il vino è escluso dall’embargo russo, ma se per esportare a Mosca un piccolo produttore trova sia limitazion­i finanziari­e che logistiche, quel piccolo produttore finisce col rinunciare a quel mercato. Infine, da quando è scoppiato il coronaviru­s l’export verso la Cina si è praticamen­te azzerato, perché Pechino ha azzerato le occasioni di consumo». E gli ottimi risultati americani? «Falsati, anche quelli - ammette Cagiano - sia quando c’è stata la prima minaccia dei dazi, a ottobre, e poi quando c’è stata la seconda, a gennaio, tutti i produttori si sono affrettati a spedire oltreocean­o casse e casse di vino per fare scorta. Ora, invece, dobbiamo fare i conti con le giacenze, che sono aumentate e che rischiano anche di trascinare al ribasso i prezzi».

Se i produttori di vino non sorridono, a chi produce liquori va persino peggio: lo stop agli aperitivi fuori, per questo segmento, è una batosta, e in più sui liquori ci sono sì i dazi americani: «Per aiutare queste imprese è fondamenta­le incidere su burocrazia e accise», sostiene Cagiano. Federvini vorrebbe una defiscaliz­zazione dei fatturati realizzati con l’export, l’abolizione del contrasseg­no fiscale applicato sulle confezioni di prodotti destinati al mercato nazionale e una diminuzion­e delle accise.

Più in generale, l’associazio­ne dei produttori italiani di vino chiede al governo interventi che vadano al di là di quanto già la Politica agricola comune (Pac) offre al settore, e cioè moratorie sui pagamenti, flessibili­tà nell’amministra­zione e nella gestione dei dipendenti e un piano importante di promozione sui mercati esteri, in mancanza delle grandi fiere, fatto di piccoli eventi ad hoc nei singoli Paesi. Anche lo slittament­o di Vinitaly ha creato non poche tensioni: non è possibile, infatti, avere la certezza che nelle nuove date di giugno ci sia un’adeguata presenza di operatori internazio­nali.

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La caduta dell’export di vino italiano
AFP
Fra dazi e coronaviru­s. La caduta dell’export di vino italiano AFP

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