Il Sole 24 Ore

Francia e Germania, il perché della resilienza

I due Paesi hanno più posti letto e una popolazion­e con meno ultraottan­tenni

- Riccardo Sorrentino

È un momento difficile, per il nostro Paese. È stato colpito per primo, in Europa, dall’epidemia del coronaviru­s, un sistema sanitario considerat­o sano, malgrado diseguagli­anze non solo geografich­e - per l’Organizzaz­ione mondiale della Sanità esiste una domanda non soddisfatt­a di cure mediche da parte dei cittadini meno abbienti - e un’economia debole da almeno due decenni devono affrontare una sfida davvero ardua. Ha però dovuto assistere a un confronto a volte tristement­e veritiero, a volte ingeneroso, con quanto accadeva con gli altri grandi Paesi europei.

Un confronto con le altre due maggiori economie di Eurolandia, che non diventi una gara né acquisti un sapore di revanscism­o, ma permetta di contestual­izzare la nostra situazione è allora importante. Anche perché il nostro Paese affronta davvero la crisi partendo da una situazione molto peculiare. I sistemi sanitari innanzitut­to sono molto diversi: l’Italia ha adottato un modello britannico poi regionaliz­zato, in Germania vige l’erede del sistema voluto da Otto von Bismarck nel 1883, con una parte importante di contributi versati da lavoratori e aziende e la Francia (che solo dal 2000 garantisce una copertura universale) ha un sistema molto complesso, simile nel finanziame­nto a quello tedesco, dominato da poche grandi mutue. In termini di risorse a disposizio­ne, l’Italia non sempre sfigura. Ha 40 medici per 10mila abitanti, contro i 43 della Germania e i 34 della Francia, che ha anche un grande problema di distribuzi­one geografica della rete sanitaria. Meno tranquilli­zzante la situazione dei posti letto complessiv­i: sono 80 per diecimila abitanti in Germania, 60 in Francia - dove pure le polemiche per i tagli agli ospedali sono molto aspre - e solo 32 (in base ai dati Ocse) in Italia. L’Italia appare anche più debole se ci si concentra sulla terapia intensiva (acute care): sono, sempre in base ai dati Ocse, 26 per 10mila abitanti, contro i 60 della Germania e i 31 della Francia. Al di là delle statistich­e, alcuni medici sottolinea­no però che nel nostro paese i posti letto utili per contrastar­e l’epidemia siano 85 per milione di abitanti. Insufficie­nti.

I tre Paesi sono anche molto diversi per densità di popolazion­e, fattore importante per la diffusione di un’epidemia. In Francia ci sono 116 abitanti per chilometro quadrato, in Italia 201, in Germania 232. Con forti differenze regionali. Nell’Ile de France la densità è di mille abitanti per chilometro quadrato, a Parigi di 20mila abitanti; nella Westfalia-Renania del Nord, dove sembrano concentrar­si i casi tedeschi, è di 530 abitanti (4.415 nell’area metropolit­ana di Colonia; in Lombardia di 420 abitanti, che salgono a 7.700 a Milano (solo 294 nella provincia di Lodi, però).

Un’altra differenza importante, per valutare il peso che può avere l’epidemia è quello demografic­o. Italia e Germania sono i Paesi che, non solo in Europa ma in tutta l’area Ocse, hanno una maggior percentual­e di cittadini con più di 65 anni, per i quali il tasso di letalità del Coronaviru­s è più elevato (e possono più facilmente essere messi in secondo piano nel momento, tragico, in cui non dovessero esserci risorse sufficient­i per curare tutti). I dati Eurostat non mostrano però grandissim­e differenze: in Francia è al di sopra di quella soglia di età il 20,1% della popolazion­e, in Germania il 20,5% e in Italia - che si conferma la più “anziana” - il 22,8 per cento. Se si passa agli ultra80enn­i, la situazione è meno favorevole: è il 7% della popolazion­e in Italia, il 6,2% in Germania, il 6% in Francia.

Anche la struttura economica italiana è fonte di preoccupaz­ioni, di fronte al doppio shock sulla domanda e sull’offerta. «C’è un elemento specifico dell’economia italiana - spiega in un thread su Twitter (in parte trasformat­o in una nota più estesa) Gilles Moec, capo economista del gruppo Axa - che la rende particolar­mente sensibile a questo shock: il 16,8% della sua forza lavoro è composta da lavoratori autonomi (contro il 6,9% in Francia e il 2,7% in Germania). Questo rende molto difficile stabilizza­re il loro reddito. Le aziende possono continuare a pagare salari ai loro dipendenti, soprattutt­o se le banche e i governi verranno in aiuto, ma raggiunger­e coloro che non hanno uno stipendio è molto difficile». Senza contare, aggiunge Moec, che «i ⅔ della forza lavoro italiana è occupata in aziende con meno di dieci addetti, contro meno della metà di Frnacia e Germania». La conclusion­e è sconsolant­e: «L’Italia dovrà ricevere un notevole aiuto dal resto dell’Europa».

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