Spostamenti da giustificare anche per salute e necessità
L’autocertificazione comporta responsabilità penali
Con le ultime restrizioni alla mobilità stabilite dal Dpcm dell’8 marzo e da quello di ieri sera, la normativa sull’emergenza coronavirus continua a puntare sul richiamo al dovere di ognuno di evitare il contagio, proteggendo sé stessi e gli altri. Ma prevede anche un obbligo sanzionato. Un obbligo e per categorie (bar ristoranti, sport, edifici religiosi),oppure ancora per orari o giorni della settimana (supermercati e ipermercati nelle zone arancioni). Da oggi tale obbligo non è più affiancato a quello per zone (rosse inizialmente o arancioni dall’8 marzo a ieri).
Il divieto più ampio riguarda i sottoposti a quarantena e i positivi al virus: non ci si può muovere dalla propria abitazione o dall’attuale dimora. Trattandosi di quarantena, anche se non si dice nulla circa le frequentazioni, queste sono vietate.
Per tutte le altre persone che si trovino in Italia, c’è da una parte un divieto di spostamento, dall’altra deroghe ampie e poco circostanziate («comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità» o «spostamenti per motivi di salute»). Un paletto a tali deroghe viene dal fatto che esse vanno quantomeno autocertificate dall’interessato, cosa che comporta sì una “libertà” di argomentare ma implica anche una responsabilità penale per chi dichiara il falso. E la circolare emanata lo stesso 8 marzo dal Capo della Polizia ricorda che le autocertificazioni vanno verificate a campione successivamente, come prevede l’articolo 71 del Dpr 445/2000.
In caso di controllo stradale, si dovrà dichiarare quale l’esigenza che motivi lo spostamento, senza tuttavia che l’autorità abbia il potere di impedire lo spostamento. Dunque, si dovranno fornire chiarimenti ma, non essendovi un catalogo delle esigenze ragionevoli, queste possono essere soggettive. In altri termini, si , può affermare di essere ragionevolmente certi di avere reali esigenze lavorative o necessità.
In concreto, questa dichiarazione può essere resa seduta stante ed essere verbalizzata dall’agente accertatore o scritta dall’interessato sui moduli scaricabili dai siti ufficiali; poi sarà verificata dall’autorità e infine vagliata dal giudice penale, che procederà con decreto di condanna o archiviando l’episodio. In questa situazione è opportuno che chi debba spostarsi per esigenze di lavoro, circoli con una dichiarazione del datore di lavoro che motivi lo spostamento, anche in coerenza con i doveri previsti dal Dlgs 231/01. Chi viene fermato per accertamenti non può essere rispedito ai luoghi di provenienza: non c’è un potere di vietare l’accesso o disporre il rientro.
Qui più di tutti vale il senso di responsabilità del cittadino per non contagiare e non farsi contagiare. Lo conferma lo stesso Dpcm, che dopo aver imposto il divieto riprende con “semplici” raccomandazioni a tenere o evitare certi comportamenti.
Il Dpcm 8 marzo 2020 ricorda le ipotesi di reato, dalla violazione dell’ordine dell’autorità (articolo 650 del Codice) fino ai delitti contro la salute pubblica (articolo 452), con poteri coercitivi e anche l’arresto. Ma l’arresto non è eseguibile per motivi di igiene, sicché, di fatto, vi può essere solo l’ordine di rientro nel domicilio, abitazione o residenza. Per non arrivare a tanto, è opportuno che si limiti al massimo la circolazione.