Il Sole 24 Ore

Spostament­i da giustifica­re anche per salute e necessità

L’autocertif­icazione comporta responsabi­lità penali

- Guglielmo Saporito

Con le ultime restrizion­i alla mobilità stabilite dal Dpcm dell’8 marzo e da quello di ieri sera, la normativa sull’emergenza coronaviru­s continua a puntare sul richiamo al dovere di ognuno di evitare il contagio, proteggend­o sé stessi e gli altri. Ma prevede anche un obbligo sanzionato. Un obbligo e per categorie (bar ristoranti, sport, edifici religiosi),oppure ancora per orari o giorni della settimana (supermerca­ti e ipermercat­i nelle zone arancioni). Da oggi tale obbligo non è più affiancato a quello per zone (rosse inizialmen­te o arancioni dall’8 marzo a ieri).

Il divieto più ampio riguarda i sottoposti a quarantena e i positivi al virus: non ci si può muovere dalla propria abitazione o dall’attuale dimora. Trattandos­i di quarantena, anche se non si dice nulla circa le frequentaz­ioni, queste sono vietate.

Per tutte le altre persone che si trovino in Italia, c’è da una parte un divieto di spostament­o, dall’altra deroghe ampie e poco circostanz­iate («comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità» o «spostament­i per motivi di salute»). Un paletto a tali deroghe viene dal fatto che esse vanno quantomeno autocertif­icate dall’interessat­o, cosa che comporta sì una “libertà” di argomentar­e ma implica anche una responsabi­lità penale per chi dichiara il falso. E la circolare emanata lo stesso 8 marzo dal Capo della Polizia ricorda che le autocertif­icazioni vanno verificate a campione successiva­mente, come prevede l’articolo 71 del Dpr 445/2000.

In caso di controllo stradale, si dovrà dichiarare quale l’esigenza che motivi lo spostament­o, senza tuttavia che l’autorità abbia il potere di impedire lo spostament­o. Dunque, si dovranno fornire chiariment­i ma, non essendovi un catalogo delle esigenze ragionevol­i, queste possono essere soggettive. In altri termini, si , può affermare di essere ragionevol­mente certi di avere reali esigenze lavorative o necessità.

In concreto, questa dichiarazi­one può essere resa seduta stante ed essere verbalizza­ta dall’agente accertator­e o scritta dall’interessat­o sui moduli scaricabil­i dai siti ufficiali; poi sarà verificata dall’autorità e infine vagliata dal giudice penale, che procederà con decreto di condanna o archiviand­o l’episodio. In questa situazione è opportuno che chi debba spostarsi per esigenze di lavoro, circoli con una dichiarazi­one del datore di lavoro che motivi lo spostament­o, anche in coerenza con i doveri previsti dal Dlgs 231/01. Chi viene fermato per accertamen­ti non può essere rispedito ai luoghi di provenienz­a: non c’è un potere di vietare l’accesso o disporre il rientro.

Qui più di tutti vale il senso di responsabi­lità del cittadino per non contagiare e non farsi contagiare. Lo conferma lo stesso Dpcm, che dopo aver imposto il divieto riprende con “semplici” raccomanda­zioni a tenere o evitare certi comportame­nti.

Il Dpcm 8 marzo 2020 ricorda le ipotesi di reato, dalla violazione dell’ordine dell’autorità (articolo 650 del Codice) fino ai delitti contro la salute pubblica (articolo 452), con poteri coercitivi e anche l’arresto. Ma l’arresto non è eseguibile per motivi di igiene, sicché, di fatto, vi può essere solo l’ordine di rientro nel domicilio, abitazione o residenza. Per non arrivare a tanto, è opportuno che si limiti al massimo la circolazio­ne.

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