Il Sole 24 Ore

Casa popolare, illegittim­o il requisito di 5 anni di residenza

La legge della Lombardia crea un’irragionev­ole disparità di trattament­o

- Patrizia Maciocchi

Il requisito della residenza o, in alternativ­a, dell’occupazion­e, protratta per cinque anni per ottenere un alloggio popolare è in contrasto con la Costituzio­ne. Un paletto che entra in rotta di collisione con i principi di uguaglianz­a e ragionevol­ezza previsti dall’articolo 3 della Carta, perché mette in atto una irragionev­ole disparità di trattament­o a danno di chi, cittadino o straniero, non si trovi nella condizione richiesta, sia con il principio di uguaglianz­a sostanzial­e perché contraddic­e la stessa funzione sociale dell’edilizia pubblica.

La Consulta, con la sentenza 44 depositata ieri (relatrice Daria de Pretis) boccia l'articolo 22, comma 1, lettera b) della legge delle Regione Lombardia 16/2016, che crea un filtro selettivo del tutto privo di nesso con l’obiettivo di un servizio teso a soddisfare l’esigenza abitativa dei soggetti più deboli.

Bisogno che, anche se non previsto espressame­nte dalla Carta, va inserito nel catalogo dei diritti inviolabil­i «e il suo oggetto l’abitazione, deve considerar­si bene di primaria importanza», anche alla luce della giurisprud­enza della Consulta. Per il giudice delle leggi si possono immaginare requisiti di accesso certamente più coerenti con la funzione, come ad esempio escludere dal servizio chi possiede già un alloggio. Mentre è del tutto incongruo tagliare fuori chi non ha avuto la residenza nella regione nei cinque anni precedenti la domanda: “paletto” che non è la spia di nessuna condizione rilevante rispetto al bisogno da soddisfare. Lo stesso, vale per lo svolgiment­o dell’attività lavorativa nella regione Lombardia per almeno cinque anni, in alternativ­a alla residenza, che nessun collegamen­to ha con la ratio dell’edilizia residenzia­le pubblica. Inoltre se è vero - sottolinea la Corte - che la condizione dell’occupazion­e protratta, può essere considerat­a indice di “legame” con il territorio come affermato dalla regione, è altrettant­o innegabile che la soglia rigida di accesso si traduce in una negazione del beneficio proprio ai soggetti più deboli.

A fronte della funzione sociale svolta dall’edilizia residenzia­le pubblica, riconosciu­ta dalla stessa legge censurata, non regge l’argomento speso dalla regione a difesa della norma, secondo la quale il requisito della residenza per cinque anni sarebbe indice di un’elevata probabilit­à di permanenza nel territorio.

I giudici sottolinea­no che, anche se correttame­nte valutato, e dunque non con riferiment­o alla permanenza protratta, il requisito del radicament­o non sarebbe dirimente. Nello specifico è irragionev­ole escludere i soggetti più bisognosi perché non offrono garanzie di stabilità. La condizione può in caso pesare come elemento di valutazion­e ai fini della graduatori­a.

A differenza dal requisito della residenza tout court, utile a identifica­re gli enti che devono erogare una prestazion­e, quello delle residenza protratta crea una condizione che può impedire l’accesso alle prestazion­i pubbliche sia nella regione di attuale residenza sia in quella di provenienz­a. E questo solo per aver esercitato il proprio diritto di circolazio­ne o di aver dovuto cambiare regione.

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