Casa popolare, illegittimo il requisito di 5 anni di residenza
La legge della Lombardia crea un’irragionevole disparità di trattamento
Il requisito della residenza o, in alternativa, dell’occupazione, protratta per cinque anni per ottenere un alloggio popolare è in contrasto con la Costituzione. Un paletto che entra in rotta di collisione con i principi di uguaglianza e ragionevolezza previsti dall’articolo 3 della Carta, perché mette in atto una irragionevole disparità di trattamento a danno di chi, cittadino o straniero, non si trovi nella condizione richiesta, sia con il principio di uguaglianza sostanziale perché contraddice la stessa funzione sociale dell’edilizia pubblica.
La Consulta, con la sentenza 44 depositata ieri (relatrice Daria de Pretis) boccia l'articolo 22, comma 1, lettera b) della legge delle Regione Lombardia 16/2016, che crea un filtro selettivo del tutto privo di nesso con l’obiettivo di un servizio teso a soddisfare l’esigenza abitativa dei soggetti più deboli.
Bisogno che, anche se non previsto espressamente dalla Carta, va inserito nel catalogo dei diritti inviolabili «e il suo oggetto l’abitazione, deve considerarsi bene di primaria importanza», anche alla luce della giurisprudenza della Consulta. Per il giudice delle leggi si possono immaginare requisiti di accesso certamente più coerenti con la funzione, come ad esempio escludere dal servizio chi possiede già un alloggio. Mentre è del tutto incongruo tagliare fuori chi non ha avuto la residenza nella regione nei cinque anni precedenti la domanda: “paletto” che non è la spia di nessuna condizione rilevante rispetto al bisogno da soddisfare. Lo stesso, vale per lo svolgimento dell’attività lavorativa nella regione Lombardia per almeno cinque anni, in alternativa alla residenza, che nessun collegamento ha con la ratio dell’edilizia residenziale pubblica. Inoltre se è vero - sottolinea la Corte - che la condizione dell’occupazione protratta, può essere considerata indice di “legame” con il territorio come affermato dalla regione, è altrettanto innegabile che la soglia rigida di accesso si traduce in una negazione del beneficio proprio ai soggetti più deboli.
A fronte della funzione sociale svolta dall’edilizia residenziale pubblica, riconosciuta dalla stessa legge censurata, non regge l’argomento speso dalla regione a difesa della norma, secondo la quale il requisito della residenza per cinque anni sarebbe indice di un’elevata probabilità di permanenza nel territorio.
I giudici sottolineano che, anche se correttamente valutato, e dunque non con riferimento alla permanenza protratta, il requisito del radicamento non sarebbe dirimente. Nello specifico è irragionevole escludere i soggetti più bisognosi perché non offrono garanzie di stabilità. La condizione può in caso pesare come elemento di valutazione ai fini della graduatoria.
A differenza dal requisito della residenza tout court, utile a identificare gli enti che devono erogare una prestazione, quello delle residenza protratta crea una condizione che può impedire l’accesso alle prestazioni pubbliche sia nella regione di attuale residenza sia in quella di provenienza. E questo solo per aver esercitato il proprio diritto di circolazione o di aver dovuto cambiare regione.