Salgono a 35 i prodotti candidati a fermare il coronavirus
Ormai è ovunque. Sars-CoV-2 si è diffuso in tutti i continenti tranne che in Antartide. Di fronte a una crisi che da regionale è diventata minaccia globale, le società farmaceutiche, dalle multinazionali alle piccole biotech, stanno mettendo in campo le migliori idee per contrastare l’epidemia Covid-19, con cui potremmo convivere - come già accade con altri coronavirus che “viaggiano” ogni inverno accanto al virus influenzale - per molti anni. «A oggi sono 35 i vaccini candidati contro Covid-19 in tutto il mondo, erano una decina di meno solo qualche settimana fa» dice Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria -. Ci sono inoltre 14 imprese attive nella sperimentazione di vaccini, farmaci nuovi o già esistenti che si testano contro il nuovo coronavirus».
Sul fronte farmaci, i test riguardano gli antivirali per trattare l’Hiv (lopinavir e ritonavir) e un farmaco sperimentale sviluppato per combattere l’Ebola, il remdesivir di Gilead, che funziona cercando di impedire la replicazione del virus. Già usato per trattare un paziente infetto negli Usa, è impiegato in un paio di grandi studi in fase avanzata in Asia. Entro la fine del mese Gilead arruolerà circa 1.000 pazienti con coronavirus per determinare se dosi multiple del farmaco possono invertire l’infezione. In Cina ha dato buoni risultati un’altra terapia che utilizza il plasma dei pazienti guariti da Covid-19, ed è in cura sperimentale anche un farmaco antinfiammatorio contro l'artrite reumatoide (il biologico tocilizumab), già inserito dalla National Health Commission cinese nelle linee guida per il trattamento dei casi gravi di coronavirus. Per valutarne l’efficacia e la sicurezza è partito anche uno studio clinico su 188 persone. La ricerca di un nuovo vaccino contro il coronavirus utilizza invece approcci più moderni e meno testati chiamati vaccini “plug and play”. Dal momento che si conosce il codice genetico di Sars-CoV-2 è infatti possibile ricostruirlo, senza usare l’originale. Così alcuni scienziati stanno selezionando piccole sezioni del codice genetico del coronavirus e lo stanno inserendo in altri virus completamente innocui. Altri gruppi stanno usando frammenti di codice genetico grezzo (Dna o Rna a seconda dell’approccio) che, una volta iniettati nel corpo, dovrebbero iniziare a produrre frammenti di proteine virali che il sistema immunitario può imparare a combattere.
Nella sfida per arrivare a un vaccino si allunga la lista delle società che ci stanno febbrilmente lavorando. In pole position c’è Moderna Pharmaceuticals, che ha già inviato fiale di vaccino a base di Rna all’Istituto nazionale delle allergie e malattie infettive (Niaid) di Bethesda. La società entro la fine di aprile potrebbe iniziare un test clinico e avere i risultati iniziali a luglio o agosto prossimi. Se tutto andasse liscio si tratterebbe di un termine record assoluto di 3-4 mesi per lo sviluppo e l’applicazione di un nuovo vaccino (nel caso della Sars il vaccino fu sviluppato in 20 mesi). Anche Inovio Pharmaceuticals nella sue sede di San Diego ha già iniziato i test preclinici e la produzione su piccola scala di un vaccino a base di Dna. La società prevede di iniziare gli studi clinici negli Usa, in Cina e in Corea del Sud ad aprile per un totale di 3.000 dosi e di aspettarsi i primi risultati in autunno. L’obiettivo è di avere 1 milione di vaccini pronti per ulteriori studi clinici o di emergenza entro la fine dell’anno. In campo c’è anche l’Università australiana del Queensland (che come le due società americane è finanziata dal Cepi,Coalition for epidemic preparedness innovations), e dallo scorso 27 febbraio anche gli scienziati israeliani dell’Istituto di ricerca Migal hanno dichiarato di essere pronti a produrre un vaccino orale nelle prossime 8-10 settimene appena ottenuta l’approvazione sulla sicurezza (entro 90 giorni). E poi, in ordine sparso su tempi e terapie/vaccini ci sono le multinazionali del farmaco come Gsk, J&J, Sanofi e Takeda, e le biotech Regeneron Pharmaceuticals e Vir Biotechnology. Ma chi scommette che gli scienziati possano fare ancora meglio di quello che oggi è in dirittura d’arrivo sono la Bill e Melinda Gates Foundation e il National Institutes of Health americano. Se, come sembra, anzichè scomparire come la Sars, il virus Covid-19 diventasse una parte permanente del serraglio microbico mondiale, sarà necessario un approccio nuovo, una sorta di piattaforma modulabile da utilizzare anche per eventuali future pandemie. Come dice Neil King, un ricercatore dell’Università di Washington “sapevamo che ci sarebbe stata un’altra epidemia di coronavirus”, dopo Sars e Mers “e ce ne sarà un’altra dopo”, che potrebbe mergere sempre da questa famiglia di virus. “Abbiamo bisogno di un vaccino contro il coronavirus universale”. La speranza è nella biologia sintetica per assemblare virtualmente potenziali vaccini in maniera più rapida e capace di rispondere alle mutazioni virali. A questo scopo i ricercatori stanno progettando nuove nanoparticelle proteiche autoassemblanti “tempestate” di antigeni. L’idea è che questi modelli più recenti possano essere più potenti dei vaccini tradizionali.