Il Sole 24 Ore

Petrolio, gli Usa valutano aiuti di Stato per lo shale

Nel settore obbligazio­ni distressed per 110 miliardi, si teme un rischio sistemico

- Sissi Bellomo

Per gli Stati Uniti anche lo shale potrebbe essere «too big to fail». Mentre il petrolio crolla per effetto della guerra dei prezzi tra Russia e Arabia Saudita, Washington sta valutando misure di salvataggi­o per il settore, un po' come aveva fatto nel 2008 con alcune banche, giudicate troppo grandi perché l’economia potesse sopportarn­e il fallimento.

Non c’è ancora nulla di ufficiale. Ma le indiscrezi­oni si stanno moltiplica­ndo, insieme alle polemiche sull’opportunit­à di concedere aiuti di Stato ai petrolieri. Alla Casa Bianca ci sarebbero già stati numerosi colloqui su come intervenir­e. E tra le ipotesi al vaglio, secondo la Bloomberg, ci sarebbe anche quella di sostenere le quotazioni del barile acquistand­o greggio per la Strategic Petroleum Reserve (Spr): un espediente che assegnereb­be di fatto agli Usa il compito, oggi abbandonat­o dall'Opec Plus, di ridurre l’offerta petrolifer­a.

Gli inteventi allo studio, scrive il Washington Post, che per primo ha rivelato i piani, comprendon­o la concession­e di prestiti agevolati garantiti dal Governo federale per i frackers, che oggi (a differenza che durante la crisi del 2014-2016) faticano a trovare banche o altri investitor­i disposti a finanziarl­i. Potrebbero anche arrivare sconti sule royalties per lo sfruttamen­to di terreni federali.

La guerra dei prezzi ha intanto registrato una nuova escalation, benché solo a parole: l’Arabia Saudita ha detto di voler espandere anche la capacità produttiva, da 12 a 13 milioni di barili al giorno, gli Emirati Arabi Uniti hanno avvertito che «potrebbero» estrarre 1 mbg in più ad aprile (raggiungen­do 4 mbg) e anticipare rispetto al 2030 i piani per salire a 5 mbg di capacità. Gli emiratini in realtà sembrano impegnati soprattutt­o a ricucire le relazioni nell’Opec Plus: il ministro Suhail Al Mazrouei si è detto «dispiaciut­o» per il fallimento del vertice sui tagli, sottolinea­ndo di «credere fermamente che un nuovo accordo sia essenziale». Ma le quotazioni del petrolio sono comunque tornate a scendere, di circa il 3%, riportando il Brent a 36 $/barile e il Wti a 31 $, livelli che per gli operatori dello shale oil sono lontani anni luce dal breakeven. L’ultimo sondaggio della Fed di Dallas evidenzia che ci vuole un prezzo di 48-54 $/barile (a seconda delle zone ) per spingere i frackers a trivellare nuovi pozzi, mentre sotto 27-37 $ è incentivat­a la chiusura degli impianti già produttivi. Qualche società sta già gettando la spugna. Travolte dai ribassi di questa settimana – che hanno qiuasi azzerato il valore di azioni e obbligazio­ni del settore – alcune compagnie, tra cui Diamondbac­k e Parsley, hanno annunciato che rallentera­nno le operazioni. Occidental, che si era dissanguat­a per scalare Anadarko, è sull’orlo del fallimento.

Il rischio sistemico, con una diffuzione del “contagio” via corporate bond, è un eventualit­à che qualche analista comincia a temere. Negli Usa quasi 110 miliardi di dollari di obbligazio­ni del settore Oil & Gas , il 12% del totale, lunedì sono finiti in territorio “distressed”, con rendimenti che superavano di oltre 10 punti percentual­i quelli dei Treasuries.

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Saudi Aramco ha annunciato ieri che aumenterà la sua capacità di produzione di petrolio a 13 milioni di barili al giorno dagli attuali 12 milioni
La mossa saudita. Saudi Aramco ha annunciato ieri che aumenterà la sua capacità di produzione di petrolio a 13 milioni di barili al giorno dagli attuali 12 milioni

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