La rabbia di Bruxelles: decisione senza consultarci
L’epidemia influenzale sta creando nuove tensioni tra gli Stati Uniti e l’Unione europea. Bruxelles ha reagito ieri con nervosismo alla scelta americana di sospendere l’ingresso di molti cittadini europei negli Stati Uniti. In un comunicato, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen hanno condannato la scelta. Nel frattempo, si moltiplicano i paesi europei che limitano l’arrivo sul proprio territorio di cittadini italiani.
«Quella del coronavirus è una crisi globale, non limitata a un continente ; richiede cooperazione, non azioni unilaterali. L’Unione europea disapprova il fatto che la decisione americana di ricorrere allo stop sui viaggi sia stata presa unilateralmente e senza consultazione», si legge nel comunicato pubblicato ieri e firmato dai due presidenti. La presa di posizione giunge dopo che Washington ha deciso di vietare l’ingresso a molti cittadini europei per 30 giorni.
Il divieto americano riguarda l’area Schengen, in tutto 26 paesi di cui 22 dell’Unione europea e altri 4 dell’area di libero scambio Efta. Dalla decisione americana sono esclusi i paesi non Schengen; oltre all’Irlanda e al Regno Unito, anche la Bulgaria, la Croazia, la Romania e Cipro. Maliziosamente, la stampa americana notava ieri che il presidente Donald Trump è proprietario di alberghi nelle isole britanniche. All’establishment comunitario la decisione non è piaciuta perché è stata presa unilateralmente.
Difficile criticare le scelte del presidente Trump quando in Europa si moltiplicano decisioni non dissimili e per di più smentendo la retorica del coordinamento tra i Ventisette. L’Austria sta controllando gli arrivi dall’Italia, chiedendo un certificato medico non più vecchio di quattro giorni da cui risulta che il viaggiatore non è affetto da coronavirus. La circolazione dei lavoratori transfrontalieri e dei trasporti-merci rimane autorizzata, mentre sono stati sospesi i collegamenti ferroviari.
In un comunicato, il governo sloveno ha precisato che gli stessi controlli avvengono in sei punti di passaggio con l’Italia. Il certificato medico non può essere vecchio di più di tre giorni. «Se la persona non riesce a presentare il certificato, gli sarà comunque permesso di entrare nella Repubblica di Slovenia se la sua temperatura corporea è inferiore a 37,5° e se non mostra chiari segni di infezione del tratto respiratorio superiore - tosse, starnuti, respiro corto».
Dal canto suo, l’Ungheria ha deciso lo stato di emergenza, bloccando gli arrivi dai paesi che più subiscono l’epidemia influenzale, ossia la Cina, la Corea del Sud, l’Iran e l’Italia. Nel contempo, il governo ungherese ha reintrodotto i controlli alla frontiera con la Slovenia e l’Austria. La misura ungherese è «senza precedenti a 30 anni dalla caduta del comunismo», ha ammesso il ministro responsabile dell’ufficio del primo ministro, Gergely Gulyas.
Il codice Schengen prevede la notifica di controlli alla frontiera, nulla di più, nel caso siano reintrodotti per via di «una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna». Non vi è necessità di notifica per le misure che giuridicamente non sarebbero ritenute controllo ai confini. Il governo italiano è consapevole di poter fare poco per impedire queste scelte, ma intende ricordare nei consessi europei l’impegno dei paesi membri alla libera circolazione delle persone e delle merci.