Approvvigionamenti a rischio se chiude il sistema industriale
Non va compromessa la capacità del sistema di tornare a produrre
Fabbriche chiuse, supermercati vuoti, prospettive di ripresa in pericolo. Ciò che si rischia chiudendo il sistema industriale italiano è, nel breve termine, di non poter garantir egli approvvigionamenti necessari per le famiglie italiane anche a seguito delle difficoltà nei trasporti con l’estero.
Ma non si tratta solo di superare questa difficile fase. Superata l’emergenza, esiste un ulteriore rischio, cioè compromettere la capacità del sistema produttivo di intercettare la ripresa economica che arriverà. È lo scenario che dipinge una nota del Centro studi di Confindustria, diffusa ieri pomeriggio.
L’analisi si sofferma in particolare sull’industria metalmeccanica che costituisce, a esempio, il cuore pulsante del sistema industriale italiano, è trasversale nella struttura produttiva nazionale e realizza macchinari e beni strumentali che sono necessari all'attività di numerose imprese in svariati settori (non solo industriali).
Da parte delle imprese ieri si è riconfermato l’impegno alla tutela della salute e della sicurezza, come ha messo nero su bianco Federmeccanica, con un comunicato in cui si sottolinea che per le aziende del settore la «tutela della salute e della sicurezza è da sempre al primo posto» e che già dallo scorso 27 febbraio era stata concertata con i sindacati una sessione di lavoro per diffondere le buone pratiche da adottare. «Tra azienda e lavoratori va stabilita la corretta dialettica, per adottare tutte le soluzioni necessarie a rendere operative le prescrizioni richieste rispettando le specifiche esigenze produttive. In questa difficile situazione dobbiamo rimanere uniti, Federmeccanica farà la propria parte», conclude la nota, affermando che si ritiene «irresponsabile anche solo citare la parola sciopero, in una giornata in cui si è verificata la più alta perdita di Borsa verificatasi nella storia.
Il comparto metalmeccanico ha un peso rilevante nell’economia italiana: genera infatti il 48% del valore aggiunto manifatturiero (100 miliardi di euro), dà lavoro al 42% degli occupati manifatturieri (circa 1,6 milioni di occupati), produce il 48% delle esportazioni italiane (in valore circa 200 miliardi di euro) e il 40% delle importazioni. L’attivo del suo interscambio (60 miliardi di euro) contribuisce al totale riequilibrio della bilancia commerciale italiana, strutturalmente deficitaria nei settori energetico ed agro-alimentare.
Il suo blocco, continua ancora il Centro studi, genererebbe effetti diretti e indiretti molto gravi nel sistema produttivo, certamente più ampi di quelli prodotti dall’ interruzione dell’attività nel solo settore metalmeccanico poiché inciderebbe sulla continuità della catena di approvvigionamento per svariate aziende.
L’analisi calcola che mediamente un giorno lavorativo in meno incide per circa il 3% della produzione mensile; uno stop di 10 giorni avrebbe un impatto negativo immediato, pari a circa un terzo della produzione industriale di marzo. Inoltre, creerebbe una disruption lungo le filiere di fornitura e determinerebbe un ritardo nella consegna degli ordini già ricevuti. Questo, conclude la nota del Centro studi, aggiungerebbe anche un grave danno reputazionale per le nostre imprese e per l’Italia, con ricadute anche sull’attività futura.