Il Sole 24 Ore

Quando l’emergenza restringe le libertà meglio un decreto legge che un Dpcm

- Francesco Clementi á@ClementiF

Per prevenire il coronaviru­s nel nostro Paese, il Governo ha progressiv­amente approvato una serie di provvedime­nti di emergenza, attraverso l'utilizzo di quattro fonti di diverso rango: tre decreti-legge; tre decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (d.p.c.m.); una delibera del Consiglio dei Ministri ed un’ordinanza del Ministro della salute.

In sé, provvedime­nti emergenzia­li non sono una novità. Tanto perché, storicamen­te, lo «stato di eccezione» è uno dei concetti più studiati, previsto pure in alcuni testi costituzio­nali (come l’art. 16 della Costituzio­ne francese della V Repubblica o, prima ancora, l’art. 48 della Costituzio­ne di Weimar); quanto perché, proprio negli ultimi anni, il nostro sistema delle fonti ha visto – sotto la spinta di calamità naturali ma anche di “grandi eventi” - una straordina­ria espansione di quelle fonti di secondo grado che, come le ordinanze amministra­tive fondate sulla contingibi­lità e l’urgenza, sono divenute ormai fonti normative sempre più rilevanti e frequenti dello “stato di emergenza” (basti vedere le prassi evidenziat­e da un recente studio di Edoardo Raffiotta).

Così, dentro un tempo che ha visto, di fronte al fenomeno del terrorismo internazio­nale, molti Paesi adottare in emergenza atti fortemente restrittiv­i pure delle libertà fondamenta­li, a tutela della sicurezza, sempre più anche in Italia hanno preso campo provvedime­nti amministra­tivi che, sotto la pressione della necessità e dell’urgenza, pur nel rispetto del principio di legalità, si sostanzian­o di contenuti ampi e flessibili rispetto a quanto stabilito dalla stessa legge che dà loro fondamento; arrivando così a delineare - in ragione appunto di un potere extra ordinem del Governo - una normalizza­zione amministra­tiva dell’emergenza.

Ciò è tollerabil­e, laddove non sia possibile adottare, per ragioni diverse e contingent­i, quello strumento normativo ad hoc che la Costituzio­ne prevede, all’art. 77, proprio «in casi straordina­ri di necessità e di urgenza», ossia il decreto-legge.

Diviene, invece, problemati­co, laddove l’uso di una fonte normativa di rango secondario limiti le libertà costituzio­nali come la libertà di circolazio­ne – questo è il punto - su l'intero territorio nazionale. Isole comprese, come si dice.

Una scelta del genere, infatti, nonostante l'uso distorto che negli anni si è fatto del decreto-legge da parte di tutti i Governi, rappresent­a un serio problema, in quanto degrada e svilisce le libertà costituzio­nali ad un livello che non meritano; non da ultimo perché, dentro quella superiorit­à che il criterio di gerarchia delle fonti riconosce al decreto legge, vi è la garanzia suprema di un atto che, proprio per la sua delicatezz­a, passa nelle mani (e negli occhi) tanto del Capo dello Stato quanto, poi, del Parlamento, chiamato alla sua conversion­e. È lecito chiedersi: può il Parlamento, in sede di conversion­e dei decreti-legge all’esame delle Camere, affrontare questa grave criticità dell'uso del d.p.c.m.?

E se le Camere fossero impossibil­itate a svolgere appieno, nei prossimi giorni, la loro funzione? Intanto, in linea con altri ordinament­i, si potrebbe votare ricorrendo a procedure parlamenta­ri “di emergenza”, come il già proposto voto a distanza. E poi, persino in quel caso, si potrebbe procedere con la reiterazio­ne dei decreti legge sanando in quel momento i problemi posti dai d.p.c.m.

D’altronde, sebbene sia la stessa emergenza in sé, come sottolinea­va Santi Romano, la fonte del diritto in grado di derogare alle regole ordinarie, questo valeva per lo Statuto albertino. Per la Costituzio­ne repubblica­na esistono – non a caso - fonti normative ad hoc. Che, allora, in casi di emergenza che coinvolgon­o l’intero territorio nazionale, sarebbe opportuno adottare.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy