Cereali nel caos della logistica, ecco l’import a rischio
Dall’estero arriva il 30% del grano duro. Il 25% del latte che beviamo o utilizziamo per i nostri formaggi. Ma soprattutto, dall’estero dipendiamo per il 64% del grano tenero che consumiamo in Italia. Quello che serve per fare i biscotti, le merendine. Il pane, soprattutto. Che succederà agli approvvigionamenti, se dovessero continuare i blocchi alle frontiere? Per quanto potranno bastare, le nostre scorte?
Per Confagricoltura, che ha fatto i calcoli sulla nostra dipendenza dall'estero in tema di materie prime alimentari, un paio di mesi di autonomia dei nostri magazzini ad oggi sono garantiti. «È ovvio che se continueremo a dover affrontare blocchi al sistema della logistica come quelli del Brennero, e mi auguro che questo non accada, qualche problema finiremmo con l’avercelo», ammette il presidente dell’associazione, Massimiliano Giansanti. Tutto dipenderà da come l’Unione europea deciderà di affrontare il tema: «Il coronavirus - sostiene Giansanti ormai è diffuso su tutto il territorio dell’Unione, nella prossima riunione del 18 di marzo la Ue non potrà non affrontare la questione della logistica e garantire il transito delle merci».
La maggior parte del grano tenero che importiamo dall’estero proviene dalla Francia. Ma a differenza dell’Austria con il Brennero, Parigi non ha bloccato il traffico merci con l’Italia. Per la farina, dunque, possiamo stare tranquilli? «Il venditore è francese, l’acquirente è italiano ma tutti i trasportatori vengono dall’Est Europa - chiarisce Giansanti - e sono loro il vero anello mancante della catena. Sono loro che in questi giorni si stanno rifiutando di venire in Italia, perché non vogliono rischiare la quarantena». La questione, insomma, è tutta logistica. Il tema degli approvvigionamenti è legato a doppio nodo a quello dei trasporti. Anche quel 25% di latte che ogni anno importiamo proviene dall’Europa, e dipende quindi dall’andamento dell’autotrasporto. Dall’Est europeo direttamente, calcola sempre Confagricoltura, arriva il grosso del mais che acquistiamo all’estero: rappresenta il 40% del nostro fabbisogno totale, in larga parte è dedicato all’alimentazione animale e a garantircelo sono soprattutto Romania e Ungheria. O almeno così è stato finora. La soia ci arriva dagli Stati Uniti e dal Brasile: sia per gli allevamenti che per l’uso umano, all’estero acquistiamo il 56% del nostro fabbisogno. Oltre al latte e ai cereali, ricorda invece la Coldiretti, anche una quota della carne che mangiamo in Italia arriva da fuori: per l’esattezza, il 35% dalla carne suina e dei salumi, il 40% di quella bovina e addirittura il 70% di quella ovina e caprina.
Infine, non meno preoccupante, c’è la questione delle sementi. L’Italia dipende molto dai semi che arrivano dall’estero: per il mais, per il frumento, persino per i pomodori Pachino, i cui semi sono un brevetto israeliano. E come se non bastasse, questi sono proprio i giorni in cui gli agricoltori si apprestano ad affrontare le campagne di semina. Per questo anche Assosementi lancia il suo appello al governo: assicurare la fornitura delle sementi è un passo essenziale per tutelare l’agroalimentare italiano. «Stiamo vivendo una fase cruciale per le campagne primaverili - ha dichiarato il presidente di Assosementi, Giuseppe Carli - è evidente che le mancate semine rischiano di causare gravi ripercussioni nella produzione di cibo».
L’Italia acquista all’estero il 64% del grano tenero, usato anche per fare il pane