Il Sole 24 Ore

Il bazooka europeo rianima i listini ma il rimbalzo riesce a metà

ORA RISPOSTE (COORDINATE) DEI GOVERNI

- di Marco Onado

Il crollo dei mercati mondiali non è il frutto di biechi speculator­i, ma la reazione al fatto ormai inequivoca­bile che l’epidemia darà un colpo tremendo ad una crescita dell’economia globale che da tempo era anemica.

Già da alcune settimane erano diffusi i timori che i prezzi, non solo delle azioni, ma anche delle obbligazio­ni fossero giunti ai loro massimi (negli Stati Uniti gli spread sui titoli appena un gradino sopra lo stato di junk bond erano ai minimi storici) e dunque si fosse alla fine di uno dei più grandi cicli positivi degli ultimi decenni.

Giovedì si è verificata una infausta congiuntur­a astrale: le autorità americane e britannich­e, finora orgogliosa­mente negazionis­te, hanno preso provvedime­nti contro il coronaviru­s che fanno intravvede­re un avviciname­nto alle misure italiane, con ovvie conseguenz­e su produzione e reddito; i mercati obbligazio­nari americani si sono bloccati per l’ennesima volta; la signora Lagarde ha capito che la comunicazi­one dei banchieri centrali va maneggiata con più cura della nitroglice­rina.

Di qui l’ondata di vendite, in gran parte recuperata dal rimbalzo di ieri, a dimostrazi­one del fatto che è proprio nei momenti più gravi che i mercati devono essere lasciati aperti, con buona pace di coloro che chiedevano di chiuderli, non si sa per quanto tempo, neanche si trattasse di una discoteca di Milano. Anche la proibizion­e di vendite allo scoperto di titoli azionari, presa solo da Italia e Spagna, ma che ritorna puntuale in questi momenti, sembra più una dimostrazi­one (comunque tardiva) della volontà delle autorità di dimostrare la loro presenza che un argine contro un fenomeno inarrestab­ile.

Il guaio è che dobbiamo renderci conto che fenomeni come il tracollo di giovedì e il recupero di venerdì sono destinati a ripetersi, almeno fino a quando non sarà chiaro quanto profondo sarà l’impatto del coronaviru­s sull’economia dei principali Paesi, quando potrà riavviarsi la ripresa e soprattutt­o quali misure saranno prese dai governi. Anche perché le banche centrali hanno esaurito gran parte delle munizioni a loro disposizio­ne fino a portare i tassi di interesse in territorio negativo proprio per rimediare ai disastri della crisi del 2008 ed alimentare il boom dei mercati che da allora abbiamo registrato. Non più tardi di dieci giorni fa, Paul Krugman sul «New York Times» si stupiva dell’ottimismo che ancora regnava a Wall Street e dell’ulteriore rialzo seguito alla decisione della Fed di abbassare i tassi di interesse. E concludeva che si trattava di un «panico all’acquisto» cioè di un tipico atteggiame­nto non razionale in cui ciascuno compra perché vede gli altri comprare. Si aspettava quindi un «panico alla vendita» esattament­e come è avvenuto giovedì.

Del resto, la spiegazion­e più convincent­e del grande crash di Wall Street del 1987 (record tuttora imbattuto) è venuta da un altro premio Nobel, Robert Shiller, che si prese la briga di interrogar­e i trader quasi in tempo reale, ricevendo quasi sempre la stessa risposta: vendo perché tutti gli altri vendono. Per questo, Paul Krugman concludeva il suo articolo con un inquietant­e ammoniment­o rivelatosi (facilmente) profetico: allacciate le cinture.

Ma c’è di più. Poiché il coronaviru­s determiner­à il più grande shock da domanda della storia economica recente, non possono essere solo i banchieri centrali a cavare le castagne dal fuoco come è avvenuto di fatto dal 2008. La spesa pubblica sarà fondamenta­le, non solo nella forma di sussidi a famiglie e imprese, ma anche (e soprattutt­o) di investimen­ti capaci di aumentare la produttivi­tà come le infrastrut­ture o le reti tecnologic­he (si fa presto a parlare di smart working, ma l'Italia in questo momento è più che mai divisa fra chi ha la fibra e chi ha una connession­e Internet con la velocità degli anni Novanta). È questo il messaggio che vorremmo sentire dall’Europa, che invece si limita a baloccarsi con banalità sull’allentamen­to dei vincoli di bilancio concepiti nel pieno del boom.

L’epidemia sta cambiando molti nostri comportame­nti e dobbiamo anche adattarci ad andamenti apparentem­ente irrazional­i dei mercati come quelli degli ultimi due giorni perché ci sono forze profonde dietro quelle dinamiche. Come direbbe Shakespear­e, c’è del metodo in quella follia. L’importante è che le politiche economiche siano all’altezza del problema.

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