Il bazooka europeo rianima i listini ma il rimbalzo riesce a metà
ORA RISPOSTE (COORDINATE) DEI GOVERNI
Il crollo dei mercati mondiali non è il frutto di biechi speculatori, ma la reazione al fatto ormai inequivocabile che l’epidemia darà un colpo tremendo ad una crescita dell’economia globale che da tempo era anemica.
Già da alcune settimane erano diffusi i timori che i prezzi, non solo delle azioni, ma anche delle obbligazioni fossero giunti ai loro massimi (negli Stati Uniti gli spread sui titoli appena un gradino sopra lo stato di junk bond erano ai minimi storici) e dunque si fosse alla fine di uno dei più grandi cicli positivi degli ultimi decenni.
Giovedì si è verificata una infausta congiuntura astrale: le autorità americane e britanniche, finora orgogliosamente negazioniste, hanno preso provvedimenti contro il coronavirus che fanno intravvedere un avvicinamento alle misure italiane, con ovvie conseguenze su produzione e reddito; i mercati obbligazionari americani si sono bloccati per l’ennesima volta; la signora Lagarde ha capito che la comunicazione dei banchieri centrali va maneggiata con più cura della nitroglicerina.
Di qui l’ondata di vendite, in gran parte recuperata dal rimbalzo di ieri, a dimostrazione del fatto che è proprio nei momenti più gravi che i mercati devono essere lasciati aperti, con buona pace di coloro che chiedevano di chiuderli, non si sa per quanto tempo, neanche si trattasse di una discoteca di Milano. Anche la proibizione di vendite allo scoperto di titoli azionari, presa solo da Italia e Spagna, ma che ritorna puntuale in questi momenti, sembra più una dimostrazione (comunque tardiva) della volontà delle autorità di dimostrare la loro presenza che un argine contro un fenomeno inarrestabile.
Il guaio è che dobbiamo renderci conto che fenomeni come il tracollo di giovedì e il recupero di venerdì sono destinati a ripetersi, almeno fino a quando non sarà chiaro quanto profondo sarà l’impatto del coronavirus sull’economia dei principali Paesi, quando potrà riavviarsi la ripresa e soprattutto quali misure saranno prese dai governi. Anche perché le banche centrali hanno esaurito gran parte delle munizioni a loro disposizione fino a portare i tassi di interesse in territorio negativo proprio per rimediare ai disastri della crisi del 2008 ed alimentare il boom dei mercati che da allora abbiamo registrato. Non più tardi di dieci giorni fa, Paul Krugman sul «New York Times» si stupiva dell’ottimismo che ancora regnava a Wall Street e dell’ulteriore rialzo seguito alla decisione della Fed di abbassare i tassi di interesse. E concludeva che si trattava di un «panico all’acquisto» cioè di un tipico atteggiamento non razionale in cui ciascuno compra perché vede gli altri comprare. Si aspettava quindi un «panico alla vendita» esattamente come è avvenuto giovedì.
Del resto, la spiegazione più convincente del grande crash di Wall Street del 1987 (record tuttora imbattuto) è venuta da un altro premio Nobel, Robert Shiller, che si prese la briga di interrogare i trader quasi in tempo reale, ricevendo quasi sempre la stessa risposta: vendo perché tutti gli altri vendono. Per questo, Paul Krugman concludeva il suo articolo con un inquietante ammonimento rivelatosi (facilmente) profetico: allacciate le cinture.
Ma c’è di più. Poiché il coronavirus determinerà il più grande shock da domanda della storia economica recente, non possono essere solo i banchieri centrali a cavare le castagne dal fuoco come è avvenuto di fatto dal 2008. La spesa pubblica sarà fondamentale, non solo nella forma di sussidi a famiglie e imprese, ma anche (e soprattutto) di investimenti capaci di aumentare la produttività come le infrastrutture o le reti tecnologiche (si fa presto a parlare di smart working, ma l'Italia in questo momento è più che mai divisa fra chi ha la fibra e chi ha una connessione Internet con la velocità degli anni Novanta). È questo il messaggio che vorremmo sentire dall’Europa, che invece si limita a baloccarsi con banalità sull’allentamento dei vincoli di bilancio concepiti nel pieno del boom.
L’epidemia sta cambiando molti nostri comportamenti e dobbiamo anche adattarci ad andamenti apparentemente irrazionali dei mercati come quelli degli ultimi due giorni perché ci sono forze profonde dietro quelle dinamiche. Come direbbe Shakespeare, c’è del metodo in quella follia. L’importante è che le politiche economiche siano all’altezza del problema.