L’ALTRO VIRUS CHE INFETTA L’EUROPA
Di fronte alla pandemia del Covid-19 che ha messo in ginocchio l’Italia, le leadership dei Paesi europei e quelle dell'Unione europea (Ue) hanno reagito come se la cosa non li riguardasse. La Francia e la Germania hanno ristretto l’esportazione di forniture mediche verso l’Italia (violando una regola del mercato unico), l’Austria e la Repubblica Ceca hanno bloccato i viaggi dall’Italia (violando un’altra regola del mercato unico), la presidente della Commissione europea ha aspettato 46 giorni prima di indirizzare un saluto di solidarietà agli italiani (per poi proporre un intervento di 25 miliardi che è poco più di un palliativo) e la presidente della Banca centrale europea ha detto che lo spread dei titoli italiani non è un suo problema (facendo crollare la nostra borsa). C’è un virus, altrettanto insidioso del Covid-19, che ha infettato molte capitali europee, oltre che esponenti delle istituzioni comunitarie, il cui nome è introversione intergovernativa. Ognuno pensa a sé stesso e chi dovrebbe pensare a tutti gli europei non sa farlo. Non ci si cura da questo virus ritornando alla vecchia medicina della sovranità nazionale, ma neppure continuando ad utilizzare l’aspirina del muddling through. Occorrono nuove terapie istituzionali e di policy.
Cominciamo dalla terapia istituzionale. Nell’Ue, la politica sanitaria è una competenza nazionale e regionale. È inevitabile che sia così, dato che i governi nazionali e regionali sono i più vicini ai cittadini e alle loro condizioni di salute. Il Trattato di Lisbona assegna all’Ue una competenza di sostegno (Art. 168 della Trattato sul funzionamento dell’Ue, o TFUE).
Anche negli Usa, la politica sanitaria è una competenza degli Stati e delle contee. Solamente nel 1979 è stato istituito il Department of Health and Human Resources, erede della Federal Security Agency inaugurata nel 1939 e poi trasformata in un dipartimento presidenziale inclusivo anche della politica dell’educazione nel 1953. Per più di un secolo e mezzo, gli Stati federati americani hanno tenuto il centro federale lontano dalla sanità. Le cose sono cambiate nel secondo dopoguerra, con il centro federale che ha assunto un ruolo di coordinamento delle policies, di promozione della ricerca e quindi di intervento attivo. Un ruolo sostenuto da 11 agenzie indipendenti (come i Centers for Disease Control and Prevention, CDCs, e la Food and Drug Administration) che gestiscono 115 programmi. Se le competenze sanitarie sono rimaste ai governi statali e locali, tuttavia il centro federale ha acquisito le risorse e i poteri per intervenire indipendentemente da questi ultimi, specialmente in condizioni di emergenza. Se non lo fa adeguatamente, come sta succedendo ora, è perché quelle agenzie sono state così indebolite da risultare poco efficaci (l’amministrazione Trump ha tagliato i finanziamenti ai CDCs del 10% nel 2018 e del 19% nel 2019). Sono i poteri e le strutture per decisioni di emergenza che mancano all’Ue, non solamente la volontà politica di intervenire. Abbiamo uno spazio comune (Schengen) ma non abbiamo un’autorità in grado di fissare standard comuni per la gestione di un’emergenza al suo interno (a parte l’annacquato Comma 5 dell'Art. 168). Solamente un chiaro potere esecutivo, controllato dal legislativo e dotato delle necessarie risorse per intervenire, può gestire un’emergenza. Il coordinamento tra i governi nazionali non può fermare un virus oppure rispondere ad un'aggressione. Non è il caso di prenderne atto?
Vediamo la terapia delle policies. Nella gestione di una crisi, l’Ue si basa sul principio che ogni Paese deve fare (innanzitutto) riferimento sulle proprie risorse. Si tratta di un principio sbagliato. In un’unione di stati, infatti, le crisi non colpiscono tutti allo stesso modo. Ad esempio, la crisi migratoria e la crisi sanitaria hanno colpito molto di più l’Italia che i Paesi del nord per ragioni che non hanno a che fare con le nostre scelte, ma con la nostra collocazione geografica o con la direzione dei nostri scambi commerciali. Di fronte a impatti asimmetrici delle crisi o delle emergenze, le regole comuni sono necessarie ma non sufficienti per neutralizzarli. Quegli impatti asimmetrici richiedono risposte asimmetriche, con relativo uso differenziato di risorse comuni. Occorre cioè dotare l’Ue (e comunque l’Eurozona) di una sua capacità fiscale indipendente dagli stati, per sottrarre le risposte differenziate alle negoziazioni tra questi ultimi. Non basta riconoscere ai singoli Paesi una maggiore flessibilità nell’utilizzo del loro bilancio in casi di emergenza (ad esempio, per sostenere il sistema sanitario oltre che le imprese e i lavoratori che debbono interrompere le attività a causa del Covid-19), occorre dotare l’Ue di un suo bilancio non vincolato, così che possa promuovere politiche d’intervento asimmetriche, cioè a sostegno dei Paesi colpiti (di volta in volta) dall’emergenza. Invece, molti governi dei Paesi del nord, spinti da inerzia mentale e interesse elettoralistico, continuano a difendere la logica intergovernativa della fiscalità europea. Ad esempio, domani (nella riunione dell’Eurogruppo) sarà in discussione l’approvazione del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), che è la celebrazione di quella visione. Né l’approvazione del Mes è collegata alla negoziazione per completare l’unione bancaria o per implementare uno strumento finanziario per la stabilizzazione dell’Eurozona (così da ridimensionare quella visione). Si va avanti come se non ci fossero alternative. Ecco perché sarebbe opportuno (come propongono più di 150 economisti italiani) che l’Italia, domani, ponesse il veto all’approvazione del Mes. Senza una capacità fiscale sovranazionale non si potranno gestire l’attuale emergenza e le nuove crisi. Non è il caso di prenderne atto?
Insomma, la diffusione del Covid-19, tra i drammi che ha generato, ci ha fatto capire che l’Ue non è attrezzata per affrontare le sfide esistenziali che ha di fronte. Occorre introdurre riforme istituzionali e di policy che consentano di farlo. L’Italia dovrebbe spingere l’Ue a curarsi dal virus dell’introversione intergovernativa, prima ancora di pretendere la solidarietà per la situazione che sta vivendo (che pure le sarebbe dovuta).