La crisi porta il deficit 2020 vicino al 4%
Domani all’Eurogruppo si avvia il confronto operativo sul piano europeo, ma oltre che ai bonus contabili l’Italia punta ad aiuti finanziari diretti per limitare il rischio mercati
A Roma si chiude oggi la complicatissima gestazione del decreto anticrisi, che con gli sviluppi delle ultime ore si appresta ad assorbire una quota più consistente del previsto dei 25 miliardi di spazi fiscali appena concordati con la commissione europea. Ma la partita vera per la gestione dei conti italiani alle prese con il Coronavirus è quella che si apre con l'Eurogruppo di domani, in contemporanea con il G7 straordinario, e l'Ecofin di martedì, in cui i ministri delle Finanze dell'Unione dovranno avviare quella “strategia coordinata” per affrontare l'emergenza chiesta a gran voce da Roma e poi da Parigi e da altre Capitali europee. In una discussione che per il momento archivia la miniriforma del Mes, ovviamente travolta da un'emergenza diventata in fretta europea e mondiale e non certo da qualche polemica politica solo italiana. La strategia, va detto subito, per l'Italia non potrà limitarsi alle dosi massicce di “flessibilità” che sono ormai scontate dopo che sul tavolo è finita la “clausola di fuga” che sospende il Patto di stabilità per i colpi della crisi.
A dirlo sono i numeri che cominciano ad affacciarsi sull'orizzonte della finanza pubblica. Numeri inevitabilmente imprecisi, e soggetti ad aggiornamenti continui con il passare dei giorni, ma chiarissimi. La Commissione ha appena rivisto le stime di crescita per la Ue, che per ora prospettano un 2020 con l'economia in arretramento dell'1 per cento. Per l'Italia paralizzata ormai da giorni dall'emergenza sanitaria le prime cifre ufficiali arriveranno nelle prossime settimane, con i lavori di preparazione del Def di aprile. Ma le stime degli analisti cominciano a concentrarsi su una forbice che va da -1 a -3% per la media 2020. E lo stesso ministro dell'Economia Gualtieri ha evocato nei giorni scorsi il rischio che nei prossimi mesi si possa assistere a una «rilevante contrazione del Pil».
Questo significa che un calcolo comunque prudenziale porta a indicare un deficit 2020 almeno intorno al 4%, e un debito in rapida crescita rispetto al 135%. Il tutto anche con i bonus contabili che permettono di escludere le spese straordinarie dal saldo strutturale, quello al netto del ciclo e appunto delle una tantum, ma che ovviamente non hanno alcun effetto sul disavanzo reale, cioè il nominale complessivo.
Il quadro si completa ricordando che sui conti italiani del prossimo anno pesano le cosiddette clausole di salvaguardia, cioè gli aumenti di Iva e accise introdotti negli anni scorsi per simulare una riduzione del deficit, per 20,1 miliardi di euro, cioè l'1,1% del Pil.
Questo, per usare una terminologia resa improvvisamente desueta dall'esplosione dei deficit prodotta dal blocco dell'economia, significa che l'Italia avrà bisogno di almeno 50 miliardi di “flessibilità” fra quest'anno e il prossimo. Quasi la metà di questa cifra, 20 miliardi, serve a finanziare le prime misure fin qui ipotizzate per fronteggiare la crisi, e il resto per concordare le quote di deficit sopra il 3% del 2021. Ma la spesa in disavanzo, anche quella con il via libera di Bruxelles, va finanziata. E da qui nasce l'esigenza di un intervento coordinato con risorse europee tutto da costruire, per non lasciare l'indebitata Italia sola sui mercati a cercarsi i soldi necessari con le emissioni di titoli.
Sul prossimo anno, oltre all’effetto trascinamento della caduta del Pil pesano anche gli aumenti Iva da 20,1 miliardi