Il Sole 24 Ore

Afghanista­n: la pace come scommessa da vincere

In 20 anni il Paese ha compiuto importanti progressi economici e sociali e i talebani non sembrano più in grado di assumerne il pieno controllo. Ecco perchè, nonostante i tanti nodi da sciogliere, l’intesa potrà reggere

- di Marco Niada

Quali sono le probabilit­à di pacificazi­one a Kabul dopo l’intesa Usa- talebani? Più alte di quanto si possa immaginare. Il Paese mostra grandi progressi, specie in campo economico, che gli stessi talebani hanno interesse a salvaguard­are.

Quali sono le probabilit­à di pacificazi­one in Afghanista­n dopo l’ intesa tra Usa e talebani? La risposta è: più alte di quanto si possa immaginare. La ragione sta nel fatto che, malgrado gli enormi problemi di facciata che il Paese mostra, sul fondo ci sono stati importanti progressi, specie in campo economico, che gli stessi talebani hanno interesse a salvaguard­are.

Una guerra lunga 40 anni

Dopo 40 anni di miserie inflitte dalla guerra contro i russi e tra afghani, con l’interferen­za di potenze straniere, il Paese è psicologic­amente esausto e ha sete di pace. Le recenti scaramucce tra il presidente eletto e da poco insediato, Ashraf Ghani, e il suo ex vice che si è autoprocla­mato, Abdullah Abdullah, sono state accolte malissimo dalla popolazion­e. Abdullah Abdullah aveva recitato lo stesso copione alle precedenti elezioni presidenzi­ali, rivendican­do la vittoria e ottenendo l’assurda carica di Chief Executive sotto il presidente Ghani per amor di pace. Ora, per quanto possa avere le sue ragioni, Abdullah deve stare attento a non tirare troppo la corda, dato che gli Stati Uniti di Trump hanno poca pazienza e potrebbero ritirarsi in malo modo, con il rischio di una ripresa della guerra civile, che azzererebb­e 20 anni di progressi.

I talebani, infatti, contrariam­ente alla loro propaganda e a quanto alcuni pensano, non sono in grado di prendere il controllo di un Paese di 30-35 milioni di abitanti. Sono coscienti che, con una forza di 5080mila uomini armati che controllan­o una buona parte di povere zone rurali ma nessuna città, incontrere­bbero forti resistenze nelle città e da parte delle etnie del Centro e Nord, quali uzbeki, tagiki e hazara, che pesano per oltre il 50% della popolazion­e.

Un Paese trasformat­o

L’Afghanista­n che i talebani, in massima parte di etnia pashtun, ambirebber­o a guidare, è infatti un altro mondo rispetto a quello che hanno lasciato nel 2001. Allora esistevano 6mila linee telefonich­e fisse e una stazione radio che cantava preghiere. Oggi un’intera generazion­e, quella sotto i 20 anni, non ha mai visto guerre, ascolta 45 stazioni radio, guarda 12 stazioni tv, almeno una dozzina di milioni possiedono smartphone e sono continuame­nte online tra Facebook e altri social network. È noto peraltro che gli stessi talebani comunicano con WhatsApp…

Il boom edilizio delle città

Le grandi città, ossia Kabul, Herat, Kandahar e Mazar, hanno avuto una forte crescita edilizia. Il centro storico di Herat è stato ricostruit­o in modo fin troppo lezioso. La capitale Kabul si stima sia passata da un milione di abitanti a sei e, malgrado vari problemi, ha infrastrut­ture migliori. I centri dei banchetti per matrimoni si sono moltiplica­ti, tre grandi moschee sono state rinnovate, nuovi quartieri residenzia­li sono nati, vicino all’aeroporto e a Nord della città, sulla via per Charikar e Bagram. Un parco dedicato al condottier­o Babur è stato rinnovato e ingrandito. Un crescente numero di strade è stato asfaltato. Centinaia di ville monofamili­ari, per quanto di proprietà di individui di reputazion­e assai dubbia, sono sorte in città come i funghi, a riprova di una crescita tumultuosa.

Oltre l’economia dell’oppio

La conferma giunge dai dati stilati dalla Banca Mondiale, secondo cui il Pil, dal 2001 al 2017, si è quasi decuplicat­o, passando da 2,2 a 20 miliardi di dollari, e ciò escludendo la famigerata narco-economia legata all’oppio, stimata tra 2 e 5 miliardi, pari a circa il 20% di quella ufficiale. Segno che il Paese riesce a sviluppare in modo sostenibil­e un’economia legata ad agricoltur­a e servizi.

Nuove dighe sono state inaugurate in varie parti del Paese. Numerose strade sono state asfaltate, collegando tutte le città principali. In agricoltur­a cresce l’uso di macchinari, le mandrie si sono moltiplica­te e uno sciame di motociclet­te di fattura iraniana e cinese solca le strade del Paese. A Kabul ci sono ben 16 istituti bancari e soltanto nella piccola Bamiyan, al centro del Paese, dal nulla sono sbucate, dal 2010 a oggi, 5 filiali di banche oltre a 6 alberghi di qualità.

L’istruzione femminile

Un dato fondamenta­le che riflette un cambiament­o profondo del Paese, fortemente penalizzat­o sotto i talebani, è il settore dell’istruzione, vitale per lo sviluppo dell’economia, tanto più importante se le donne possono partecipar­e alla vita civile, portando il loro prezioso contributo. Qui vale la pena di ricordare che, alla caduta dei talebani, andavano a scuola 1,2 milioni di ragazzi e 50mila ragazze, oltre a qualche migliaio di maschi all’Università. Oggi gli alunni in età scolare che vanno agli istituti primari e secondari sono 11 milioni, di cui un terzo femmine, e 500mila si diplomano annualment­e, mentre sono 160mila gli studenti universita­ri, di cui circa 20mila donne. La strada davanti è ancora lunga: 3,5 milioni di ragazzi non vanno a scuola e di questi oltre il 60% sono femmine. I risultati finora raggiunti sono però notevoli.

I progressi da compiere in tutto il Paese restano enormi, ma per chi ha la ventura di visitarlo regolarmen­te ogni anno, i cambiament­i sono visibili e tangibili, anche nelle zone rurali, dove le condizioni sono più arretrate e i talebani hanno più possibilit­à di reclutare adepti con pochi soldi. Basti dire che un Kalashniko­v costa circa 600 dollari, più del reddito annuo di un afghano delle zone rurali.

In questo quadro generale, un po’ approssima­to dalla carenza delle statistich­e disponibil­i, viene da pensare che i talebani, che peraltro da alcuni anni negoziano dietro le quinte e a differenti livelli, non possano pensare di tornare a imporre un Islam primordial­e, a meno di voler procedere, contro la volontà di milioni di persone, alla distruzion­e di quanto è stato finora costruito.

Il potenziale economico

Va infine rilevato il potenziale futuro dell’economia del Paese di cui i talebani sono coscienti. Secondo dati del Geological Survey Usa e del Pentagono, il Paese avrebbe almeno 1000 miliardi di dollari di risorse naturali tra metalli, idrocarbur­i, pietre preziose e minerali rari, tra cui il litio. L’India ha peraltro ottenuto la concession­e della miniera di ferro di Hajigak, considerat­a la più grande del mondo, mentre i cinesi hanno messo le mani su quella di rame di Ainak, una delle prime tre del mondo. Per ora lo stato di guerra lascia tutto in stand by ma la pace potrebbe dare il via ad attività che impieghere­bbero migliaia di persone. I talebani, che si presentano come un movimento deciso a guidare il Paese, devono tenere conto di questo potenziale. Sta ai vari leader politici, etnici e religiosi trovare un dialogo. La tragica alternativ­a violenta ha già causato abbastanza miseria. E, questa volta, il mondo, alle prese con nuove emergenze, potrebbe non avere più la pazienza per sostenere il Paese. Sarebbe un vero delitto verso tutti coloro che in questi anni hanno costruito a fatica una nazione più prospera.

Il Pil si è decuplicat­o dal 2001 al 2017 e c’è un tesoro nascosto di risorse naturali, già nel mirino di India e Cina

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REUTERS
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A Jalalabad, un gruppo di afghani celebra l’intesa tra Stati Uniti e talebani, preludio del ritiro delle truppe americane
REUTERS Festeggian­do il futuro. A Jalalabad, un gruppo di afghani celebra l’intesa tra Stati Uniti e talebani, preludio del ritiro delle truppe americane

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