Primi frutti del coordinamento europeo
Su pressione di Bruxelles Berlino dà l’ok all’invio di materiale sanitario in Italia
Il governo tedesco ha accettato di modificare un decreto approvato all’inizio di marzo che subordinava le esportazioni di materiali sanitari come maschere, guanti e occhiali all’autorizzazione di un’agenzia governativa. Le esportazioni potranno essere autorizzate in anticipo anche «per contrastare una minaccia ai bisogni vitali in uno stato membro dell’Unione europea». E il ministero dell’Economia si è impegnato a permettere l’invio in Italia di 400mila mascherine, varando un decreto che allenta le regole per questo tipo di esportazioni. Se tutto andrà come previsto, il nuovo decreto verrà pubblicato lunedì, dando il via libera a quello che potrebbe diventare il primo caso di export mirato dalla Germania all’Italia nell’ambito sanitario. La decisione, trapela, è stata presa su pressione dell’Unione europea. Questo è un esempio di come, faticosamente, il coordinamento Ue nella lotta sanitaria contro la pandemia da coronavirus stia cominciando a dare primi risultati tangibili, nella scarsità di risorse e senza reali poteri nei confronti degli Stati membri.
Assicurare il funzionamento del mercato interno in questo frangente si rivela dunque un elemento di solidarietà determinante. Ma evidentemente non basta. Anche per questo, i presidenti del Consiglio Ue e della Commissione, Charles Michele Ursula von der Leyen, hanno sentito il bisogno di far sapere di essere «al lavoro insieme agli Stati membri per il coordinamento di misure efficaci alle frontiere interne ed esterne dell’Ue per proteggere la salute dei cittadini, per contenere l’epidemia di coronavirus e mantenere la circolazione di beni e servizi all’interno dell’Unione».
Dal 2 marzo, è stato costituito un gruppo di coordinamento composto da cinque commissari di cui fa parte anche Paolo Gentiloni per gli aspetti macroeconomici legati alla crisi. Gli altri membri sono Janez Lenarčič (gestione delle crisi), Stella Kyriakides (sanità), Ylva Johansson (affari interni) e Adina Vălean (mobilità). Il confronto con gli Stati membri e tra le istituzioni europee è assicurato, oltre che dalle riunioni del Consiglio dei ministri Ue, anche dal Comitato per la sicurezza sanitaria e da ultimo dal gruppo di coordinamento settimanale “Covid-19” in cui sono coinvolti anche Paesi Schengen non Ue e l’agenzia Frontex per lo scambio di informazioni sulle misure alle frontiere. Senza poteri effettivi, in queste riunioni si condividono conoscenze e decisioni su provvedimenti nazionali, si discutono le relative misure preparatorie, compresi i consigli di viaggio, misure mediche, capacità di ricerca di laboratorio, scambio di informazioni sui controlli ai confini.
Bruxelles ha mobilitato anche 140 milioni di euro per prevenire e contenere la diffusione del virus, di cui 47,5 milioni da Horizon 2020 per progetti di ricerca specifici sulla malattia e per lo sviluppo dei vaccini. Altri 90 milioni di euro sono stati stanziati attraverso l’Iniziativa europea medicinali innovativi (IMI), partenariato pubblico-privato tra la stessa Commissione e la Federazione europea delle industrie e delle associazioni farmaceutiche (EFPIA).
In virtù di una decisione del 2013 sulle gravi minacce per la salute, la Commissione può attivare anche una procedura accelerata di appalto congiunto per dispositivi di protezione individuale con 20 Stati membri, invitando alle gare società preselezionate, per rendere più agevole per gli Stati membri l’approvvigionamento a prezzi equi di dispositivi di protezione individuale e ridurre al minimo i rischi di carenze. Non risulta, per ora, che questa procedura sia stata utilizzata. È bene ricordare, che all’inizio dell’epidemia, la Protezione civile europea ha consegnato alla Cina oltre 56 tonnellate di indumenti protettivi, disinfettanti e mascherine, fornite da Francia, Germania, Italia, Lettonia, Estonia, Austria, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovenia.