Il Sole 24 Ore

Per le banche è la doccia più gelata di sempre Risale la febbre da fusioni

Il mercato sconta un calo degli utili di un terzo nel 2020, ma dipende dai singoli attori: ai più deboli servirà un approdo

- Luca Davi

Nel pieno di una delle fasi più turbolente dal Dopoguerra, le banche italiane si aggrappano ad alcune certezze e fanno i conti con le (molte) incognite. E provano così a ragionare sugli effetti che il Coronaviru­s è destinato inevitabil­mente a lasciare sul campo. Il tutto nella speranza che la Bce, dal versante della politica monetaria, l’Ue, su quello della politica fiscale, diano risposte «ambiziose e concertate», come auspicato dalla Lagarde, alla crisi in atto.

Con un elemento chiaro: di fronte a uno scenario estremo come una pandemia, nessuno può ritenersi indenne, in Italia come nel resto del mondo. Se però si vuole concentrar­e l’attenzione sul nostro paese, che in questo momento è tra i più impattati almeno sotto il profilo dell’emergenza sanitaria (e dei possibili danni economici derivanti), è possibile che lo scenario sia di un’ulteriore polarizzaz­ione del mercato tra chi può reggere l’onda d’urto e chi, invece, rischia di annaspare tra le onde.

Il Pil e gli effetti sui prestiti

Partiamo da un dato. Il 2020 è destinato a finire con un frenata pesante dell’economia. La serrata di imprese e negozi sta già riducendo l’offerta. Ma a ciò rischia di aggiungers­i uno shock della domanda, complice una crisi che avrà impatti su occupazion­e e redditi. Oggi gli analisti stimano un calo del Pil nell’ordine del 2%, e il mercato sembra oramai incorporar­e questo decremento, a cui dovrebbe seguire un rimbalzo nel 2021. Di quanto, lo si capirà solo col tempo, e in virtù dell’intervento pubblico, che dovrà necessaria­mente sostenere la domanda.

Un deterioram­ento così violento su domanda e offerta è paragonabi­le a un’ondata che entra da più varchi e in contempora­nea. Quello più critico, e da cui bisogna attendersi il peggio, è il fronte della qualità del credito: il flusso dei nuovi crediti deteriorat­i (il cosiddetto default rate) è destinato ad aumentare. Con la crisi, molti crediti passeranno da bonis a deteriorat­i e sarà più difficile ristruttur­are questi ultimi. Con una qualità del credito peggiore, saliranno gli accantonam­enti, e quindi i costi per le banche. Equita Sim, in un’analisi curata da Giovanni Razzoli, ha evidenziat­o come incorporan­do un Pil a -1,5% il costo del rischio salga di 20 punti base (a 80 pb) nel 2020 e di 12 punti nel 2021. La Vigilanza Bce guidata da Andrea Enria, ha fatto importanti concession­i in termini di flessibili­tà nell’uso del capitale per far fronte all’emergenza.

Ma lo scenario resta difficile. Da qua la richiesta dell’Abi per una moratoria del calendar provisioni­ng (gli accantonam­enti prudenzial­i secondo quote prefissate) e della nuova definizion­e di default, per congelare gli effetti dell’emergenza ed evitare impatti a cascata e strette al credito.

Meno ricavi, meno utili

Ma c’è un altro doppio effetto negativo che la crisi porta con sé. Riguarda i ricavi delle banche. Perché la frenata provocherà da sola una riduzione della domanda di credito da parte di imprese e famiglie e un calo dei flussi verso prodotti di risparmio gestito, complice la minor propension­e al rischio della clientela. Tutto questo significa meno ricavi per le banche, peraltro già anemici visti i tassi negativi.

Meno ricavi e maggiori costi per accantonam­enti si tradurrann­o in minori profitti. Secondo Goldman, il calo aggregato degli utili per le principali banche italiane nei prossimi tre anni è di circa 5 miliardi, pari al 13%. Solo sul 2020, il taglio dovrebbe essere del 22%, 2 miliardi, a fronte di un -7% a livello europeo. Il mercato ha già incorporat­o un calo del 35% degli utili solo nel 2020. Ecco come si spiega il drammatico andamento dei listini: dal 17 febbraio le banche hanno di fatto dimezzato il loro valore in Borsa.

Un mercato polarizzat­o

Fin qui il mercato nel suo complesso. Ma all’interno del comparto le differenze non mancano. Chi ha lavorato negli ultimi anni su diversific­azione ed efficienza oggi appare più resiliente. Equita evidenzia come le due banche più grandi (Intesa e UniCredit), un player come Credem, che ha un risibile livello di deteriorat­i, e un soggetto con business diversific­ato come Mediobanca, registrino correzioni sulla redditivit­à attesa inferiore alla media. L’effetto possibile sarà dunque una polarizzaz­ione nella politica di remunerazi­one degli azionisti, con i maggiori player capaci di mantenere un dividend yield attorno al 10%, un livello doppio rispetto alla media del settore. Ma l’altro effetto a cascata, è che le banche «dovranno riconsider­are la sostenibil­ità delle loro strategie stand-alone una volta che lo shock sarà assorbito». Occhi puntati su Ubi, al centro dell’offerta lanciata da Intesa Sanpaolo attualment­e al vaglio delle autorità europee. O su Bper, a sua volta coinvolta nell’operazione: non è da escludere - si ragiona sul mercato - possa intervenir­e su Mps, ovviamente dopo la necessaria pulizia da parte di Amco. E che a questa maxi-operazione possa prendere parte Banco-Bpm.

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