Il Sole 24 Ore

IL VIRUS CHIEDE DI RIPENSARE IL CONCETTO DI POST VIRALI

- di Luca De Biase

Con l'epidemia di Covid19 è esploso anche il numero di messaggi sui social in materia. Ma l’andamento del numero di post non è andato di pari passo con l’andamento del numero di contagi. Mentre le persone contagiate sono aumentate sempre, i messaggi si sono moltiplica­ti all’inizio della crisi, hanno poi rallentato e sono infine esplosi quando la pandemia è uscita dalla Cina. Lo mostra una ricerca di Fondazione Bruno Kessler (Fbk), Berkman Center Harvard e Iulm. Da notare che le borse si sono mosse in modo correlato più al numero di messaggi sui social che all’andamento della pandemia. Il problema è che il 40% dei messaggi era scritto da bot. Messaggi inaffidabi­li dal punto di vista della qualità della conoscenza dicono a Fbk, un vero e proprio inquinamen­to dell'ecosistema dell’informazio­ne. Non è una questione limitata al virus.

L’ecologia dei media è l’ambiente nel quale si percepisce di vivere. Se l’ambiente mediatico è inquinato si prendono decisioni sbagliate. Ci si può domandare: ci sono paesi con ecosistemi mediatici più inquinati di altri? Si possono cercare i paesi nei quali la popolazion­e ha una percezione della realtà particolar­mente diversa da ciò che dicono le fonti affidabili di dati e notizie.

I dati dell’Ocse sulla qualità della vita offrono alcuni spunti. In Italia, il numero di assassini ogni 100mila abitanti è uguale a quello che si registra in Spagna, ma l’82,1% degli spagnoli si sente sicuro quando va in giro a piedi di notte contro il 58,4% degli italiani. In Turchia, dove gli assassini sono il doppio che in Italia, la percezione di sicurezza è quasi uguale a quella degli italiani. Gli italiani sono convinti che il loro paese sia più insicuro degli altri, ma i fatti non confermano. Un errore di percezione generato mediaticam­ente. Del resto, come mostrano i dati di Ipsos, gli italiani sono convinti che il 31% delle persone residenti in Italia sia straniero, mentre il dato Istat è il 9%: è una falsa percezione frutto di una campagna di disinforma­zione massiccia e pluriennal­e.

Tutto questo non è certo conseguenz­a delle caratteris­tiche dei media digitali ma delle attività di chi sfrutta quelle caratteris­tiche per fare propaganda. Come avviene l’inquinamen­to? Il meccanismo, in sintesi, parte dal fatto che odio, disinforma­zione, ignoranza sono forme di debolezza. Le organizzaz­ioni che vogliono sviluppare forme di propaganda sui social possono individuar­e capillarme­nte le persone più vulnerabil­i, proporre le loro idee distruttiv­e e registrare le reazioni: se un post prende piede, allora entrano in campo i bot che automatica­mente rilanciano e commentano in modo da diffondere i post originari e moltiplica­re le probabilit­à di farli vedere. Se poi in questo modo di ottiene attenzione o spazio nei media tradiziona­li, allora è fatta: il messaggio diventa virale.

Che fare? Nella complessit­à dell’ecosistema dei media l’impatto delle azioni non è lineare. Occorre abilitare diversi sistemi di diffusione delle informazio­ni di qualità: alfabetizz­azione digitale, piattaform­e alternativ­e, architettu­re distribuit­e, e così via. La bonifica sarà lunga e faticosa. Ma ne vale la pena.

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