MEDICI, SE IL BERSAGLIO DIVENTA ANGELO CUSTODE
Più di qualche nodo viene al pettine. Dopo anni di attacchi frontali ed azioni legali, sobillate da una certa industria del risarcimento, gli operatori della sanità sono oggi riscoperti come gli angeli custodi a cui affidare la nostra salvezza. E nella coscienza della maggior parte dei cittadini, di fronte alla difficoltà di domare il Covid 19, comincia a infiltrarsi l’idea , giusta, che all’impegno sanitario corrisponda un diritto alla miglior cura possibile, ma non necessariamente alla guarigione.
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L’attuale emergenza sembra dunque ridefinire il concetto sacro di salute, riportandolo entro un perimetro meno egoistico, sviluppato non solo lungo le direttrici di tutele e diritti assoluti ma anche di doveri inderogabili di cooperazione e mutuo e reciproco sostegno. Solo così il senso di costrizione che ci pervade - tra decreti, inibizioni e serrate – sembra poter lasciar posto a quella rotonda maturità che nel terzo millennio è, dopo tutto, lecito attendersi, e che antepone l’impegno del «noi» alla logica dell’«io».
Ed ecco che l’insegnamento della legge 24/2017 (la “GelliBianco”, che regola la responsabilità dei sanitari), sulla sicurezza delle cure, si illumina finalmente, nella sua dichiarata intenzione di spostare il baricentro dal concetto accusatorio di responsabilità sanitaria, che divide e ci schiera in fazioni, a quello solidale di sanità responsabile, che al contrario dovrebbe unirci. Oggi più che mai. Stupisce però che, anche in questi momenti drammatici, vi sia ancora chi, davvero irresponsabilmente, tenti ancora di ingolfare la strenua resistenza del sistema sanitario con intempestive inquisizioni, volte a indagare se taluni eventi critici possano essere ascritti a responsabilità omissive delle strutture o dei professionisti della sanità.
Il diritto fornisce più qualche elemento per arginare, e stoppare in battuta, tali intempestive derive accusatorie.
È il concetto stesso di emergenza, mai come adesso invocabile, a marcare la differenza. Rendendo oltremodo difficili anche le cose facili e ponendo in perfetta connessione la colpa grave, e la regola di responsabilità prevista dall’articolo 2236 del Codice civile, con le di prevenzione normalmente in uso dimostrano, ad oggi, di non esser sempre sufficienti. Soprattutto in contesti in cui il controllo di ogni singolo gesto altrui non pare si possa razionalmente richiedere a chi lotta contro il tempo, disponendo di risorse scarse ed insufficienti.
In una prospettiva ancorata alla colpa, dunque, la responsabilità dovrebbe essere sempre esclusa, in questi casi. Tanto più in un contesto che, privo di coordinate certe, impone lo sforzo di lavorare nell’alea, per trasformarla in esperienza utile, prima, e poi in regola. Specie davanti a un’emergenza che anticipa i “tempi di gioco”, obbligando a rincorrere ciò che non si riesce a prevenire.
Esistono dunque argomenti e strumenti per proteggere il sistema da intempestive offensive risarcitorie, mai come ora inopportune. Resta da comprendere se, in questi scenari delicati, non sia utile rimuovere in radice ogni dubbio, arricchendo l’attuale decretazione d’urgenza di una norma che preveda, su questo specifico tema, una moratoria.
E non si colga l’occasione per completare la normativa vigente in materia di sicurezza delle cure, a tutt’oggi in attesa di una decretazione attuativa che pare in dirittura d’arrivo e sarebbe fondamentale approvare per chiudere il cerchio.