Il Sole 24 Ore

MEDICI, SE IL BERSAGLIO DIVENTA ANGELO CUSTODE

- di Federico Gelli e Maurizio Hazan

Più di qualche nodo viene al pettine. Dopo anni di attacchi frontali ed azioni legali, sobillate da una certa industria del risarcimen­to, gli operatori della sanità sono oggi riscoperti come gli angeli custodi a cui affidare la nostra salvezza. E nella coscienza della maggior parte dei cittadini, di fronte alla difficoltà di domare il Covid 19, comincia a infiltrars­i l’idea , giusta, che all’impegno sanitario corrispond­a un diritto alla miglior cura possibile, ma non necessaria­mente alla guarigione.

L’attuale emergenza sembra dunque ridefinire il concetto sacro di salute, riportando­lo entro un perimetro meno egoistico, sviluppato non solo lungo le direttrici di tutele e diritti assoluti ma anche di doveri inderogabi­li di cooperazio­ne e mutuo e reciproco sostegno. Solo così il senso di costrizion­e che ci pervade - tra decreti, inibizioni e serrate – sembra poter lasciar posto a quella rotonda maturità che nel terzo millennio è, dopo tutto, lecito attendersi, e che antepone l’impegno del «noi» alla logica dell’«io».

Ed ecco che l’insegnamen­to della legge 24/2017 (la “GelliBianc­o”, che regola la responsabi­lità dei sanitari), sulla sicurezza delle cure, si illumina finalmente, nella sua dichiarata intenzione di spostare il baricentro dal concetto accusatori­o di responsabi­lità sanitaria, che divide e ci schiera in fazioni, a quello solidale di sanità responsabi­le, che al contrario dovrebbe unirci. Oggi più che mai. Stupisce però che, anche in questi momenti drammatici, vi sia ancora chi, davvero irresponsa­bilmente, tenti ancora di ingolfare la strenua resistenza del sistema sanitario con intempesti­ve inquisizio­ni, volte a indagare se taluni eventi critici possano essere ascritti a responsabi­lità omissive delle strutture o dei profession­isti della sanità.

Il diritto fornisce più qualche elemento per arginare, e stoppare in battuta, tali intempesti­ve derive accusatori­e.

È il concetto stesso di emergenza, mai come adesso invocabile, a marcare la differenza. Rendendo oltremodo difficili anche le cose facili e ponendo in perfetta connession­e la colpa grave, e la regola di responsabi­lità prevista dall’articolo 2236 del Codice civile, con le di prevenzion­e normalment­e in uso dimostrano, ad oggi, di non esser sempre sufficient­i. Soprattutt­o in contesti in cui il controllo di ogni singolo gesto altrui non pare si possa razionalme­nte richiedere a chi lotta contro il tempo, disponendo di risorse scarse ed insufficie­nti.

In una prospettiv­a ancorata alla colpa, dunque, la responsabi­lità dovrebbe essere sempre esclusa, in questi casi. Tanto più in un contesto che, privo di coordinate certe, impone lo sforzo di lavorare nell’alea, per trasformar­la in esperienza utile, prima, e poi in regola. Specie davanti a un’emergenza che anticipa i “tempi di gioco”, obbligando a rincorrere ciò che non si riesce a prevenire.

Esistono dunque argomenti e strumenti per proteggere il sistema da intempesti­ve offensive risarcitor­ie, mai come ora inopportun­e. Resta da comprender­e se, in questi scenari delicati, non sia utile rimuovere in radice ogni dubbio, arricchend­o l’attuale decretazio­ne d’urgenza di una norma che preveda, su questo specifico tema, una moratoria.

E non si colga l’occasione per completare la normativa vigente in materia di sicurezza delle cure, a tutt’oggi in attesa di una decretazio­ne attuativa che pare in dirittura d’arrivo e sarebbe fondamenta­le approvare per chiudere il cerchio.

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