Azioni proprie rivalutate e poi cedute: il risparmio d’imposta non è «abuso»
Bocciata la tesi del Fisco per cui l’operazione serviva solo a eludere il prelievo Per evitare l’elusione occorrono però ragioni extrafiscali «non marginali»
In tutti i casi in cui il contribuente adotta soluzioni legittime alle quali l’ordinamento tributario riconosce un minor carico fiscale, tali soluzioni «non possono essere censurate come abuso del diritto»: lo ha riaffermato la prima sezione della Ctp Padova con la sentenza 58/1/2020, depositata lo scorso 20 febbraio (presidente Albertin, relatore Guerra).
Per i giudici patavini, in particolare, tale libertà di scelta può essere esercitata «a prescindere dalla presenza di una valida ragione economica od organizzativa sottostante l’operazione effettuata».
Per argomentare compiutamente questa conclusione, i giudici di primo grado richiamano l’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente (legge 212/2000): in base al quarto comma, resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale.
Pertanto, la normativa – ha precisato la commissione provinciale - «non prevede (…) che la libertà di scelta può essere esercitata fermo restando il necessario conseguimento di un vantaggio economico od organizzativo». Quest’ultimo elemento, di conseguenza, non deve formare oggetto di analisi da parte dei giudici tributari.
Sulla base di tale impostazione, la Ctp padovana ha escluso che costituisca abuso del diritto l’operazione di rivalutazione delle azioni con pagamento dell’imposta sostitutiva più favorevole, seguita dalla cessione di azioni proprie (le stesse oggetto di rivalutazione).
Per l’ufficio, invece, nella fattispecie l’operazione di cessione di azioni proprie rientrava nell’ipotesi di abuso del diritto, in quanto finalizzata esclusivamente a conseguire un risparmio economico attraverso la non applicazione dell’articolo 47 del Tuir, che disciplina la tassazione degli utili distribuiti ai soci, fiscalmente più onerosa.
Per l’agenzia delle Entrate si tratterebbe quindi di un’operazione priva di valide ragioni economiche: l’unica ragione sarebbe quella di non pagare l’imposta (più elevata) relativa alla distribuzione dei dividendi.
Di diverso avviso, la Ctp di Padova secondo cui si tratta di atti legittimi, «espressione della libera scelta del contribuente tra regimi opzionali offerti dalla legge e comportanti un diverso carico fiscale».
Sul punto si ricorda che, per comprendere al meglio le considerazioni svolte dai giudici di primo grado nella pronuncia è necessario porre attenzione anche al terzo comma del richiamato articolo 10bis, a mente del quale non si considerano abusive, «in ogni caso», le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che «rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente».
Nelle situazioni – ad esempio quelle afferenti una fattispecie di cessione di azioni proprie, come nel caso in esame - l’interprete è quindi chiamato a effettuare un’ulteriore verifica in relazione alla normativa.
Al riguardo si richiama l’opinione espressa dall’agenzia delle Entrate, secondo cui gli interessi extrafiscali non marginali «debbono essere tali per cui le operazioni prospettate non sarebbero state poste in essere in (loro) assenza» (risposta all’istanza di interpello 30 dell’8 ottobre 2018).