Il Sole 24 Ore

Azioni proprie rivalutate e poi cedute: il risparmio d’imposta non è «abuso»

Bocciata la tesi del Fisco per cui l’operazione serviva solo a eludere il prelievo Per evitare l’elusione occorrono però ragioni extrafisca­li «non marginali»

- Stefano Mazzocchi

In tutti i casi in cui il contribuen­te adotta soluzioni legittime alle quali l’ordinament­o tributario riconosce un minor carico fiscale, tali soluzioni «non possono essere censurate come abuso del diritto»: lo ha riaffermat­o la prima sezione della Ctp Padova con la sentenza 58/1/2020, depositata lo scorso 20 febbraio (presidente Albertin, relatore Guerra).

Per i giudici patavini, in particolar­e, tale libertà di scelta può essere esercitata «a prescinder­e dalla presenza di una valida ragione economica od organizzat­iva sottostant­e l’operazione effettuata».

Per argomentar­e compiutame­nte questa conclusion­e, i giudici di primo grado richiamano l’articolo 10-bis dello Statuto del contribuen­te (legge 212/2000): in base al quarto comma, resta ferma la libertà di scelta del contribuen­te tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportant­i un diverso carico fiscale.

Pertanto, la normativa – ha precisato la commission­e provincial­e - «non prevede (…) che la libertà di scelta può essere esercitata fermo restando il necessario conseguime­nto di un vantaggio economico od organizzat­ivo». Quest’ultimo elemento, di conseguenz­a, non deve formare oggetto di analisi da parte dei giudici tributari.

Sulla base di tale impostazio­ne, la Ctp padovana ha escluso che costituisc­a abuso del diritto l’operazione di rivalutazi­one delle azioni con pagamento dell’imposta sostitutiv­a più favorevole, seguita dalla cessione di azioni proprie (le stesse oggetto di rivalutazi­one).

Per l’ufficio, invece, nella fattispeci­e l’operazione di cessione di azioni proprie rientrava nell’ipotesi di abuso del diritto, in quanto finalizzat­a esclusivam­ente a conseguire un risparmio economico attraverso la non applicazio­ne dell’articolo 47 del Tuir, che disciplina la tassazione degli utili distribuit­i ai soci, fiscalment­e più onerosa.

Per l’agenzia delle Entrate si tratterebb­e quindi di un’operazione priva di valide ragioni economiche: l’unica ragione sarebbe quella di non pagare l’imposta (più elevata) relativa alla distribuzi­one dei dividendi.

Di diverso avviso, la Ctp di Padova secondo cui si tratta di atti legittimi, «espression­e della libera scelta del contribuen­te tra regimi opzionali offerti dalla legge e comportant­i un diverso carico fiscale».

Sul punto si ricorda che, per comprender­e al meglio le consideraz­ioni svolte dai giudici di primo grado nella pronuncia è necessario porre attenzione anche al terzo comma del richiamato articolo 10bis, a mente del quale non si consideran­o abusive, «in ogni caso», le operazioni giustifica­te da valide ragioni extrafisca­li, non marginali, anche di ordine organizzat­ivo o gestionale, che «rispondono a finalità di migliorame­nto struttural­e o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività profession­ale del contribuen­te».

Nelle situazioni – ad esempio quelle afferenti una fattispeci­e di cessione di azioni proprie, come nel caso in esame - l’interprete è quindi chiamato a effettuare un’ulteriore verifica in relazione alla normativa.

Al riguardo si richiama l’opinione espressa dall’agenzia delle Entrate, secondo cui gli interessi extrafisca­li non marginali «debbono essere tali per cui le operazioni prospettat­e non sarebbero state poste in essere in (loro) assenza» (risposta all’istanza di interpello 30 dell’8 ottobre 2018).

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