Il Sole 24 Ore

Ecoreati: il Codice penale affianca il Codice ambientale

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In un recente convegno ho sentito che la responsabi­lità degli enti ex Dlgs 231/2001 è prevista anche per i reati ambientali. Questo significa che le contravven­zioni previste dal Codice ambientale sono escluse dalla disciplina del Dlgs 231/2001?

L.M. - NAPOLI

La risposta al quesito è negativa; infatti, accanto alle numerose contravven­zioni presenti nel Dlgs 152/2006, la legge 68/2015 ha aggiunto anche gli “ecodelitti”.

Il Dlgs 121/2011, a decorrere dal 16 agosto 2011, ha aggiunto ai reati presuppost­o previsti dal Dlgs 231/2001 per la responsabi­lità dell’ente in dipendenza del reato commesso dal dipendente le contravven­zioni previste dal Codice ambientale (Dlgs 152/2006).

Lo stesso Dlgs 121/2011 ha aggiunto anche gli articoli 727–bis e 733–bis, del Codice penale per i crimini contro animali e vegetali selvatici protetti, che ora rientrano nel novero del Dlgs 231/2001 unitamente a quelli previsti dalla legge 150/1992 (sul commercio di animali pericolosi), dalla legge sulla tutela dell’ozono stratosfer­ico (549/1993) e dal Dlgs 202/2007 sull’inquinamen­to derivante dalle navi.

La legge 68/2015, a decorrere dal 29 maggio 2015, ha aggiunto a questa già folta schiera previsiona­le anche gli “ecodelitti” inserendol­i nel Codice penale. I più rilevanti sono: inquinamen­to ambientale (articolo 452– bis), disastro ambientale (articolo 452–quater), traffico e abbandono di materiale ad alta radioattiv­ità (articolo 452–sexies), impediment­o del controllo (articolo 452– septies) e omessa bonifica (articolo 452–terdecies). In entrambi i casi, la sanzione pecuniaria è quantifica­ta con il sistema delle quote, previsto dall’articolo 11 del decreto stesso e può variare da un minimo di 100 euro a un massimo di 1000 euro. Il valore di ogni quota invece, può variare da un minimo di 258 euro a un massimo di 1549 euro. La definizion­e dell’importo di ogni quota è rimessa alla discrezion­alità del giudice, che valuta anche le condizioni patrimonia­li ed economiche in cui versa l’ente «allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione». Il giudice può decidere l’ammontare della sanzione pecuniaria sulla base dei seguenti elementi: gravità del fatto, grado della responsabi­lità dell’ente, attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenz­e del fatto e per prevenire la commission­e di ulteriori illeciti. In ogni caso, come detto, l’importo della quota è stabilito in base alle condizioni economiche e patrimonia­li dell’ente per assicurare l’efficacia della sanzione, per evitare – da un lato – un eccesso di rigore e – dall’altro – l’irrogazion­e di una sanzione incongrua rispetto alla consistenz­a finanziari­a dell’ente.

Per il procedimen­to relativo agli illeciti amministra­tivi dipendenti da reato si osservano, oltre alle specifiche norme dettate dal Dlgs 231/2001, le disposizio­ni del Codice di procedura penale e del Dlgs 271/1989. Quindi, anche se la responsabi­lità dell’ente per l’illecito derivante da reato è una responsabi­lità di tipo amministra­tivo, questa viene accertata nell’ambito di un procedimen­to penale dallo stesso giudice chiamato a decidere sul reato presuppost­o commesso dal soggetto apicale o dal sottoposto (articoli 36 e 38 del Dlgs 231/2001).

Le sanzioni pecuniarie vanno a colpire il profilo statico di una società (il patrimonio). A queste si affiancano le misure interditti­ve, che mirano invece al suo profilo dinamico (la prospettiv­a dell’attività economica). In alcuni casi, infatti, sono previste le sanzioni interditti­ve ex articolo 9, comma 2, del Dlgs 231/2001: interdizio­ne dall’esercizio dell’attività, sospension­e o revoca delle autorizzaz­ioni, licenze o concession­i funzionali alla commission­e dell’illecito, divieto di contrattar­e con la pubblica amministra­zione salvo che per ottenere le prestazion­i di un pubblico servizio, esclusione da agevolazio­ni, finanziame­nti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi, divieto di pubblicizz­are beni o servizi. Tra i reati colpiti da tali sanzioni interditti­ve si collocano la discarica abusiva, il traffico illecito di rifiuti, anche radioattiv­i, l’inosservan­za del divieto di scarico e lo scarico di acque reflue industrial­i contenenti le sostanze pericolose individuat­e dal Dlgs 152/2006.

La Cassazione penale, con sentenza 20060/2013, ha sottolinea­to che la società rimane responsabi­le anche se il reato–presuppost­o è prescritto purché l’illecito sia contestato prima della prescrizio­ne specifican­do anche che l’ente resta responsabi­le anche se l’autore del reato non è stato identifica­to e l’assoluzion­e della persona fisica non comporta in automatico l’“assoluzion­e” dell’ente stesso.

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