Le Banche centrali caricano il bazooka Trump teme la crisi
Bazooka. È la somma degli interventi (diversi) decisi dalle banche centrali, ma non incantano i mercati Sforzo globale. Liquidità aumentata per 800 miliardi di euro Alle banche 1.500 miliardi, 1.400 al mercato interbancario
Nel giro di pochi giorni Fed, Bce, Bank of England e Bank of Japan hanno aumentato gli acquisti di titoli per oltre 800 miliardi di euro, hanno varato iniezioni di liquidità sul mercato interbancario fino a 1.400 miliardi e aiuti alle banche per circa 1.500 miliardi: un bazooka da 3.700 miliardi che finora non è bastato ai mercati. Il presidente americano Trump teme che l’economia possa entrare in recessione.
Motivi dello scetticismo dei mercati: l’emergenza è sanitaria, le risposte sono con politiche vecchie
In una inconsueta riunione serale, di domenica, la Federal Reserve e altre banche centrali del mondo hanno messo in azione uno dei più grandi e coordinati stimoli monetari della storia. Che ne seguono altri: solo Fed, Bce, Bank of England e Bank of Japan nel giro di pochi giorni hanno aumentato gli acquisti di titoli (quantitative easing) per un totale equivalente a oltre 800 miliardi di euro rispetto a quanto già non facessero prima, hanno varato iniezioni di liquidità sul mercato interbancario fino a 1.400 miliardi e aiuti alle banche totali fino a circa 1.500 miliardi di euro. Oltre a tagliare i tassi in alcuni casi e ad allentare le regole bancarie. E molte altre banche centrali più piccole hanno fatto manovre simili. Se nel 2008 tirarono fuori il “bazooka” poco per volta, questa volta i banchieri centrali si sono mossi a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro.
Eppure sembra che abbiano sparato, col bazooka, dalla parte sbagliata: già domenica sera, subito dopo l’annuncio a sorpresa della Fed, i futures sugli indici di Wall Street sono crollati. E ieri i mercati hanno continuato la violenta discesa. Anomalia che getta un certo senso di sconforto: le banche centrali hanno forse perso il tocco magico? Ci sono varie ragioni per pensarlo. Ma altrettante per non perdere le speranze. Quello che serve oggi è però qualcosa di nuovo: politiche monetarie e fiscali messe insieme con una potenza di fuoco senza precedenti. La minestra riscaldata non basta più: serve un “whatever it takes” di nuova generazione.
La bacchetta magica
Se si chiede ad economisti e investitori perché le misure di stimolo delle banche centrali siano state accolte con sonori tracolli delle Borse, la prima risposta che arriva è ovvia: perché questa non è una crisi finanziaria, come nel 2008, ma una crisi sanitaria. «I mercati non si tranquillizzeranno fintanto che l’emergenza sanitaria non sarà risolta - osserva Marco Piersimoni, investment advisor di Pictet Am Italia -. Le banche centrali possono evitare il credit crunch, ma non possono fare molto sul fronte del coronavirus». Mohamed El Erian, chief economic advisor di Allianz, la pensa allo stesso modo. In un articolo su Bloomberg scrive: «I tassi bassi o i soldi in tasca non incoraggeranno la gente a viaggiare o a far ripartire le normali relazioni». Insomma: fintanto che non verrà risolto il problema sanitario, le Borse continueranno a ballare.
Questo è ovvio. Però dai mercati arrivano alcuni segnali che lasciano intendere che questa spiegazione non basti. Domenica sera, subito dopo l’annuncio della Fed, i futures sulla Borsa di Wall Street hanno infatti iniziato a cadere. Questo significa che le Borse ieri non sono cadute “nonostante” la Fed, ma forse “a causa” della Fed. Questo è strano: le politiche monetarie non risolveranno i problemi, ma quantomeno non dovrebbero aggravarli. Perché allora questa reazione dopo l’intervento? Sul mercato si evidenziano infatti anche altri motivi.
Da un lato tanti pensano che le manovre varate in questi giorni siano di vecchia generazione. Film già visti. Riadattamenti. Insomma: è come se le banche centrali abbiano somministrato farmaci generici, non specifici per questa situazione che non ha precedenti. «Qui servono con urgenza azioni laser, mirate a far cessare i malfunzionamenti di alcune fette dei mercati, più che azioni ad ampio spettro»,sostiene El Erian. «La Fed non è riuscita a riattivare le misure di emergenza che ha utilizzato nel 2008 per incanalare la liquidità direttamente verso gli istituti finanziari non bancari - aggiunge Willem Verhagen, Senior Economist di NN Investment -. La conclusione è che la misura di supporto per il mercato del credito è ancora ben lungi dall’essere a prova di bomba». Meno pessimista, guardando la Bce, è Luca Mezzomo, economista di Intesa Sanpaolo: «Il mix tra il Tltro della Bce e le garanzie statali per il credito alle imprese potrà avere effetti potenti una volta finita l’emergenza sanitaria. Oggi non si vedono, ma gli effetti arriveranno».
C’è infine un altro motivo che favorisce lo scetticismo sul mercato: le banche centrali si saranno anche coordinate, ma le politiche fiscali (cioè i Governi) si muovono tutt’ora in ordine sparso e senza un filo comune. E alcuni Governi sembrano sottovalutare il problema. «Oltre all’allentamento monetario, gli investitori vogliono anche sapere quali misure di politica fiscale saranno adottate per alleviare la pressione sulla redditività delle imprese, sui bilanci ed eventualmente sui fallimenti aziendali», osserva Verhagen.
Whatever it takes 2.0
Ed è questo forse il punto vero. Sul mercato in tanti pensano che una politica coordinata tra banche centrali, Governi e istituzioni europee sia fondamentale per vincere l’emergenza economica e finanziaria nata dal virus. Le banche centrali non bastano? Bene: servono allora nuovi strumenti, pensati ad hoc, per fare in modo che le politiche monetarie diventino il moltiplicatore e il facilitatore di quelle fiscali. Fintanto che ogni Governo annuncia le sue manovre (che variano al variare dello spazio fiscale di ognuno) e che le banche centrali varano le loro, difficilmente il mercato percepirà una vera svolta. La sensazione resterà quella di bazooka caricati a salve.