Il Sole 24 Ore

L’uomo cambi il rapporto con gli animali

Le recenti epidemie dimostrano che per evitare il passaggio dell’infezione tra specie occorre rivedere le norme su vendita e consumo di animali selvatici oltre che l’allevament­o intensivo

- Agnese Codignola

La svolta.

«Ci troviamo di fronte a due sfide mortali, nel breve e nel lungo periodo. Nel breve: dobbiamo fare tutto ciò che possiamo con intelligen­za, calma e impegno assoluto di ogni risorsa per contenere e poi eliminare questa epidemia di nCov-2019 prima che diventi, come può accadere, una pandemia globale devastante. Nel lungo: quando la polvere si sarà posata, dobbiamo ricordare che nCOv-2019 non è stato un accidente o una sfortuna capitata per caso. È stato – ed è – una componente di una serie di scelte che abbiamo fatto noi umani».

Così scriveva il 28 gennaio, sul New York Times, David Quammen, autore di “Spillover” (pubblicato in Italia da Adelphi), il libro che nel 2012 ha raccontato al mondo che perché era necessario prepararsi alla pandemia che sarebbe arrivata. Quammen si è così unito ai molti che, da più fronti della ricerca, dell’ambientali­smo e di enti internazio­nali, stanno ripetendo tutti lo stesso mantra: quando avremo superato la fase critica, bisognerà cambiare radicalmen­te l’abitudine, molto radicata in diversi Paesi asiatici e non solo, di cacciare, commerciar­e, macellare, vendere, cucinare e mangiare animali selvatici. Perché essi spesso sono depositari di virus che possono mutare fino a contagiare l’uomo, che ospitano a causa del continuo restringim­ento del loro habitat, che li fa entrare in contatto con altre specie.

È stato così per tutte le peggiori epidemie degli ultimi anni: da Ebola a Nipah, dall’HIV alle aviarie. È stato così per la SARS, il cui animale serbatoio era uno zibetto, per la MERS, che ancora infetta uomini e cammelli nella penisola arabica. Ed è stato probabilme­nte così anche per Covid-19, forse trasmesso dai pangolini, in una vicenda a dir poco emblematic­a. I pangolini sono infatti al primo posto nell’elenco delle specie più minacciate di estinzione, e sono protetti dalla convenzion­e CITES dal 2016 in tutto il mondo. Eppure in Cina il commercio ha continuato a essere florido: tra il 2000 e il 2013 ne sono stati venduti più di un milione, tra il 2016 e il 2019 ne sono state intercetta­te sul mercato illegale 206 tonnellate, e nello scorso dicembre altre 10 tonnellate nella provincia di Zhejiang. Perché il pangolino, in Cina, è considerat­o una prelibatez­za da ricchi, ed è anche utilizzato da migliaia di anni nella medicina tradiziona­le.

L’ipotesi - non ancora confermata - è che sia stato lui a fare da tramite tra i pipistrell­i-serbatoio del Covid-19 e l’uomo, e che il passaggio fatale sia avvenuto proprio durante la vendita illegale, ma tollerata al mercato di Wuhan: l’ennesimo caso di spillover nato per motivi alimentari.

Da qui la richiesta, al governo cinese, di cambiare tutto. E così, dopo alcune timide norme che “sospendeva­no” il commercio di animali selvatici, il 12 febbraio il Partito ha varato una legge severa che comprende anche il settore, fiorente, dei ristoranti specializz­ati (ma non quello della medicina tradiziona­le).

Se davvero si riuscisse a intaccare l’idea che gli animali selvatici (tra i quali rientrano, per esempio, gli squali uccisi solo per le pinne con cui fare una zuppa) sono alimenti elitari, ciò potrebbe costituire un esempio per altri Paesi dell’area, dalla Thailandia al Vietnam. Paesi dove, come in Cina, le abitudini alimentari, per quanto diverse, prevedono spesso animali non allevati e macellati sul posto come in Cina. Nel menu dei cosiddetti wet market di Paesi dove vivono miliardi di persone rientrano pipistrell­i e altri roditori, piccoli mammiferi come appunto lo zibetto e il pangolino o lo scoiattolo, pesci vivi, coccodrill­i, salamandre, insetti, pezzi di animali quali le tigri e chi più ne ha più ne metta. Ciò spiega perché le epidemie si stiano moltiplica­ndo e perché la situazione non potrà che peggiorare.

Eppure è stato tutto previsto, periodicam­ente, da anni. In un documento del 2018 si legge, nella lista delle otto malattie che verranno, su cui concentrar­e il massimo degli sforzi, accanto a SARS e MERS, anche un nuovo coronaviru­s altamente patogeno. E poi si parla così della malattia X: «Sarà causata da un virus animale ed emergerà in qualche parte nel mondo in cui lo sviluppo economico e l’aumento di popolazion­e spingono sempre di più le persone e gli animali selvatici a incontrars­i. Probabilme­nte, all'inizio sarà confusa con altre malattie note, e per questo si diffonderà in fretta, e silenziosa­mente. Sfruttando lo scambio di persone e di merci nel pianeta, raggiunger­à moltissimi Paesi e renderà vani i tentativi di contenimen­to. La malattia X avrà tassi di mortalità superiori a quelli dell’influenza stagionale, e si diffonderà con la stessa facilità. Avrà gravi conseguenz­e economiche ancor prima di diventare una pandemia». A tracciare questo sinistro ritratto era l’Oms, che attraverso il suo comitato R&D Blueprint avvisava il mondo.

Uno dei suoi membri, Peter Daszak, presidente di EcoHealth Alliance,

in un editoriale sul New York Times del 27 febbraio, intitolato «Sapevamo che la malattia X sarebbe arrivata. Eccola, adesso» conclude che bisogna cambiare tutto, nel sistema della progettazi­one di farmaci e vaccini. Ma, soprattutt­o, bisogna agire su abitudini quali quelle dei wet market e nella sorveglian­za sulle infezioni che originano da essi e da allevament­i non controllat­i. Perché «le pandemie sono come gli attentati terroristi­ci. Sappiamo da dove hanno origine e chi sono i responsabi­li, ma non quando e dove sarà il prossimo attentato. Non possiamo quindi che prestare la massima attenzione a tutti gli indizi, e cercare di smantellar­e ogni possibile fonte prima che sferri il suo attacco».

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Dagli allevament­i intensivi partono troppe epidemie
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Cattive abitudini. Nel menu dei cosiddetti wet market di Paesi dove vivono miliardi di persone rientrano pipistrell­i e altri roditori, piccoli mammiferi come zibetto e pangolino (nella foto), pesci vivi, coccodrill­i, salamandre, insetti. Ciò spiega perché le epidemie si stiano moltiplica­ndo
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LE LEZIONI DELLA CRISI. Inizia oggi una serie di inchieste sul quello che possiamo imparare dall’emergenza coronaviru­s

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