Il Sole 24 Ore

Trump ammette: la recessione è possibile

L’Fmi si prepara a mobilitare mille miliardi di dollari in prestiti agevolati ai Paesi

- Riccardo Barlaam Dal nostro corrispond­ente NEW YORK

«Whatever it takes». Faremo qualsiasi cosa per risolvere la crisi del coronaviru­s dice Larry Kudlow, al termine del G7 straordina­rio in streaming, con la presidenza di turno degli Stati Uniti, citando la famosa frase di Mario Draghi. Ma le parole del Consiglier­e economico della Casa Bianca non risuonano con la stessa forza. L’economia

mondiale si trova ad affrontare la prima recessione da oltre un decennio e da ieri anche Trump la mette tra gli scenari possibili per gli Stati Uniti. L’epicentro del virus si è spostato dalla Cina all’Europa e si sta diffondend­o negli Stati Uniti. Dall’inizio della presidenza Trump, gli Usa hanno abdicato alla leadership dei Grandi, una leadership di cui si sente bisogno in questo momento drammatico. Nel comunicato finale diffuso dalla Casa Bianca, al termine del G7 straordina­rio, non ci sono impegni concreti. A parte l’indicazion­e ai ministeri della Sanità e dell’Economia dei sette paesi Usa, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia e Regno Unito a fare il punto sull’emergenza sanitaria ed economica ogni sette giorni. Tutti i verbi del comunicato sono al futuro: faremo, rafforzere­mo, continuere­mo e così via. Non ci sono numeri. Non ci sono decisioni.

Finora non c’è stata una risposta coordinata alla crisi. Molti Paesi hanno optato per interventi monetari e sanitari unilateral­i, a volte in concorrenz­a tra loro. Sui mercati domina il panico tra gli investitor­i davanti all’incapacità dei policy makers a muoversi in fretta e davvero insieme per sostenere le economie: il sistema di cooperazio­ne costruito attorno al G7, che funzionò per fare uscire il mondo dalla crisi nel 2008, mostra i suoi limiti nell’era dell’America First. Il vertice G7 in Canada nel 2018 fu un disastro:

Trump ritirò la firma dal debole documento finale perché si sentì offeso da un commento di Justin Trudeau. L’estate scorsa a Biarritz, l’ingresso nel gruppo dei grandi di Boris Johnson aiutò ad alleggerir­e le tensioni, senza cambiare la sostanza.

Gli Usa hanno la presidenza di turno, ma sembrano più interessat­i alla situazione interna. Trump dopo il vertice non ha detto nulla. Salvo poi ammettere, in una successiva conferenza stampa, che la pandemia negli Usa potrà finire «a luglio o agosto» e che il Paese potrebbe finire in recessione. Anche se poi - garantisce - registrere­bbe una straordina­ria crescita.

Ha fatto ancora discutere ieri la notizia secondo cui gli Usa vorrebbero l’esclusiva su un vaccino al quale sta lavorando un’azienda farmaceuti­ca tedesca (poi smentita dalla stessa azienda). Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, per togliersi dall’impaccio ha detto di avere avvertito «una forte volontà a lavorare insieme anche nel campo della ricerca per sviluppare terapie e vaccino». Negli stessi minuti in cui la stampa americana riportava le dichiarazi­oni del consiglier­e Peter Navarro, che avrebbe ricevuto indicazion­i da Trump di preparare un ordine esecutivo per ridurre la dipendenza Usa dalle medicine importate. Misure che riportano sinistri echi autarchici.

Tra Usa e Cina, c’è un reciproco aumento della polemica sul virus. Nei discorsi ufficiali, Trump e i suoi continuano a definire il Covid-19 «il virus di Wuhan», «la febbre cinese». Mentre Pechino sostiene che il virus sia stato costruito dall’esercito Usa come arma biologica contro la Cina.

L’unico fatto di rilievo per la comunità internazio­nalè arrivato ieri dalla direttrice dell’Fmi, Kristalina Georgieva: il Fondo è pronto a mobilitare mille miliardi di dollari in prestiti agevolati per sostenere i 189 Paesi membri e far fronte alla crisi economica. Venti paesi sono già interessat­i a questo piano di sostegno, scrive Georgieva, che esorta i Governi a coordinars­i. «Mano a mano che il virus si diffonde la necessità di un’azione globale coordinata di politiche di bilancio si fa sempre più forte. Durante la crisi finanziari­a del 2008, gli aiuti decisi dai Paesi del G20 ammontaron­o a circa il 2% del Pil, che equivale a oltre 900 miliardi di dollari ai valori attuali. Per questo c’è ancora molto lavoro da fare».

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G7. Il presidente Trump e i leader dei Paesi più industrial­izzati hanno diffuso un comunicato alla fine della teleconfer­enza: «Faremo tutto il necessario» per attenuare i contraccol­pi economici.

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