UN PRIMO PASSO NEL CUORE DELLA CRISI
Le misure approvate ieri nel decreto Cura Italia segnalano le tre direzioni che portano al cuore della crisi e possono farla esplodere: quella sanitaria, produttiva e di finanza pubblica. Non vale tanto la pena soffermarsi sui ritardi che ci sono stati nel varare questo provvedimento che era atteso già sabato, né serve soffermarsi sulle discussioni e liti che pure ci sono state all’interno della maggioranza su chi doveva imbracciare la difesa delle partite Iva o su Alitalia, il punto sono le paure di Conte e Gualtieri che si leggevano tra le righe delle loro dichiarazioni. «Siamo consapevoli che non basterà», diceva Conte dando l’idea che si è appena agli inizi. E il fatto che si annunci già un prossimo decreto per il mese di aprile dà la dimensione di quanto queste misure vengano considerate dagli stessi che le hanno emanate, una goccia. Ammesso che ad aprile disporremo di altrettante risorse da spendere.
Comunque delle tre emergenze di cui si occupa il decreto, quella che al momento impegna di più il Governo è quella sanitaria e per due ragioni. La prima è che ora è concentrata in Lombardia - ed è già drammatica - ma se il virus dovesse avere lo stesso impatto nelle aree del Sud, come ormai si dice da tempo, ci sarebbe un dramma ben peggiore. E non solo dal punto di vista dei sistemi sanitari locali. L’altro pezzo di emergenza che scatterebbe è di ordine pubblico. Se ne sono avuti degli assaggi a Napoli con le aggressioni a un medico e la preoccupazione a Palazzo Chigi e Viminale è di tenere sotto controllo anche questo versante che potrebbe diventare un effetto collaterale del sovraccarico negli ospedali.
L’altro “affluente” della crisi sono le attività produttive, di cui si occupa - in gran parte - il decreto di ieri ma con un grande punto di domanda ancora senza risposta: quando potranno ripartire. Da questa dipende l’impegno finanziario che servirà. Tra l’altro, dettaglio importante, non esiste nemmeno una stima attendibile di quanti esercizi commerciali, artigiani, fabbriche, si siano fermati e quanti siano attivi. Diventa quindi difficile decidere, per quanto tempo deve durare il blocco, se deve essere parziale e quanto costa un tipo di scelta o l’altra. Fare previsioni senza una mappa della situazione complica le scelte su come e quando rimettere in moto i vari settori produttivi. Al Mef dicono che ora c’è “la diga” e poi ci sarà il secondo tempo dei fondi per il rilancio, ma qui si arriva al terzo ramo della crisi, la finanza pubblica.
Con il provvedimento di ieri, infatti, si mette sul piatto tutto il margine a disposizione per fare deficit e soprattutto c’è il rinvio di pagamenti e oneri (imposte e contributi) che creano un “buco” di notevole consistenza. Un impatto importante per le esigenze di cassa che diventa urgente da risolvere tra aprile e maggio. Insomma, si teme una crisi per il bilancio statale (vedi articolo accanto) che non è banale per un Paese con un alto debito. Il problema, come si sa, non è la flessibilità dell’Europa ma il collocamento dei titoli sul mercato sul quale - finora - le istituzioni europee sembra che possano dare un contributo solo parziale.
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