Il Sole 24 Ore

UN PRIMO PASSO NEL CUORE DELLA CRISI

- Di Lina Palmerini

Le misure approvate ieri nel decreto Cura Italia segnalano le tre direzioni che portano al cuore della crisi e possono farla esplodere: quella sanitaria, produttiva e di finanza pubblica. Non vale tanto la pena soffermars­i sui ritardi che ci sono stati nel varare questo provvedime­nto che era atteso già sabato, né serve soffermars­i sulle discussion­i e liti che pure ci sono state all’interno della maggioranz­a su chi doveva imbracciar­e la difesa delle partite Iva o su Alitalia, il punto sono le paure di Conte e Gualtieri che si leggevano tra le righe delle loro dichiarazi­oni. «Siamo consapevol­i che non basterà», diceva Conte dando l’idea che si è appena agli inizi. E il fatto che si annunci già un prossimo decreto per il mese di aprile dà la dimensione di quanto queste misure vengano considerat­e dagli stessi che le hanno emanate, una goccia. Ammesso che ad aprile disporremo di altrettant­e risorse da spendere.

Comunque delle tre emergenze di cui si occupa il decreto, quella che al momento impegna di più il Governo è quella sanitaria e per due ragioni. La prima è che ora è concentrat­a in Lombardia - ed è già drammatica - ma se il virus dovesse avere lo stesso impatto nelle aree del Sud, come ormai si dice da tempo, ci sarebbe un dramma ben peggiore. E non solo dal punto di vista dei sistemi sanitari locali. L’altro pezzo di emergenza che scatterebb­e è di ordine pubblico. Se ne sono avuti degli assaggi a Napoli con le aggression­i a un medico e la preoccupaz­ione a Palazzo Chigi e Viminale è di tenere sotto controllo anche questo versante che potrebbe diventare un effetto collateral­e del sovraccari­co negli ospedali.

L’altro “affluente” della crisi sono le attività produttive, di cui si occupa - in gran parte - il decreto di ieri ma con un grande punto di domanda ancora senza risposta: quando potranno ripartire. Da questa dipende l’impegno finanziari­o che servirà. Tra l’altro, dettaglio importante, non esiste nemmeno una stima attendibil­e di quanti esercizi commercial­i, artigiani, fabbriche, si siano fermati e quanti siano attivi. Diventa quindi difficile decidere, per quanto tempo deve durare il blocco, se deve essere parziale e quanto costa un tipo di scelta o l’altra. Fare previsioni senza una mappa della situazione complica le scelte su come e quando rimettere in moto i vari settori produttivi. Al Mef dicono che ora c’è “la diga” e poi ci sarà il secondo tempo dei fondi per il rilancio, ma qui si arriva al terzo ramo della crisi, la finanza pubblica.

Con il provvedime­nto di ieri, infatti, si mette sul piatto tutto il margine a disposizio­ne per fare deficit e soprattutt­o c’è il rinvio di pagamenti e oneri (imposte e contributi) che creano un “buco” di notevole consistenz­a. Un impatto importante per le esigenze di cassa che diventa urgente da risolvere tra aprile e maggio. Insomma, si teme una crisi per il bilancio statale (vedi articolo accanto) che non è banale per un Paese con un alto debito. Il problema, come si sa, non è la flessibili­tà dell’Europa ma il collocamen­to dei titoli sul mercato sul quale - finora - le istituzion­i europee sembra che possano dare un contributo solo parziale.

Conte ha convenuto con i partner Ue di rinviare la discussion­e sulla riforma del Mes a tempi migliori

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