FISCO LEGGERO E INVESTIMENTI PER RICONQUISTARE TRE PUNTI DI PIL
Il linguaggio economico abusa della metafora del cigno nero per indicare eventi impronosticabili e rarissimi, ma che impattano il contesto di riferimento sino a trasformarlo. “Cigno nero” è, a pieno titolo, la diffusione del virus Sars-Cov-2, comunemente detto coronavirus. Impossibile prevederne il decorso, vista l’assenza di elementi di confronto con il passato: l’ultima epidemia simile per diffusione è stata l’influenza spagnola, nel 1918, in un mondo culturalmente, socialmente, economicamente, politicamente “altro”.
Tuttavia, stimare gli impatti e preparare strategie di minimizzazione dei danni è fondamentale per provare a governare la situazione di crisi.
Oltre alle evidenti conseguenze sul piano umanitario, la diffusione del coronavirus porta con sé pesanti impatti economici. Partiamo da alcuni dati: il turismo, con oltre 60 milioni di presenze l’anno sul suolo nazionale, attiva il 13% del nostro Pil, tra impatto diretto e catene di fornitura.
Inoltre, si registrano rallentamenti dell’attività produttiva in diverse filiere manifatturiere, a causa dell’arresto dei flussi commerciali dalla Cina, partner commerciale fondamentale per la nostra economia. Importiamo dal mercato cinese 33 miliardi l’anno di beni indispensabili alla nostra manifattura, quali acciaio (1 miliardo, pari al 15% dell’import complessivo di beni in acciaio) e componentistica (753 milioni, il 19% dell’import complessivo).
Inoltre, nell’immediato – auspicando il pieno rispetto delle attuali misure di contenimento – la vendita al dettaglio, e conseguentemente quella delle filiere di fornitura a monte, è ferma. Questa contrazione andrà a colpire un settore già in difficoltà, con oltre 5mila esercizi commerciali chiusi nel 2019.
Per tratteggiare scenari di impatto sul nostro Pil, due sono le variabili da includere: la dimensione temporale e la reazione di cittadini e investitori.
Assumiamo una durata trimestrale dell’epidemia, consapevoli della volatilità del dato, che potrà essere soggetto a revisioni.
Quantificabile con amara precisione, invece, la tensione dei cittadini e degli investitori. Due dati sulla sfiducia della comunità economica mondiale. Da gennaio a febbraio l’indice Pmi cinese è passato da 50 a 35,7 punti, il minimo storico. Nel novembre 2008, in piena crisi Lehman Brothers, tale valore scese fino a 38,8. Un altro indicatore rilevante è il Vix Index, che misura la volatilità della Borsa americana. La diffusione in Europa del virus ha provocato una salita del Vix Index su valori che non si vedevano dal crollo, nel 2015, della Borsa di Shanghai.
Sulla base delle nostre stime, l’attuale contrazione porterebbe a una riduzione del Pil 2020 superiore al 3%, con un intervallo di confidenza fra -2,5% e -3,5%.
Una variazione delle variabili sopra menzionate potrebbe spostare questo intervallo: ad esempio, se le misure precauzionali fossero scrupolosamente rispettate, a fronte di una fortissima contrazione nelle prime settimane seguirebbe una ripresa dell’attività economica anticipata. Inoltre, questa stima è soggetta al tempismo e all’efficacia delle misure di contenimento del virus messe in atto nei Paesi che sono nostri partner commerciali.
Nel nostro scenario previsionale abbiamo incorporato una contrazione economica dovuta alla riduzione dei flussi turistici e dei conseguenti impatti negativi, e la riduzione dell’attività manifatturiera, parzialmente compensata dal rialzo dell’attività economica del settore farmaceutico-sanitario. Infine, abbiamo considerato una contrazione dell’attività di vendita al dettaglio.
Gli impatti negativi, però, potrebbero non esaurirsi qui, ma avere una coda lunga dovuta alla chiusura di attività e piccole imprese, rischi dei quali bisogna avere contezza. È in questo contesto che il ruolo del settore pubblico diventa dirimente, incaricato non solo di organizzare la risposta alla più grave emergenza sanitaria nella storia recente del nostro Paese, ma contenendone il contraccolpo sulle fasce più esposte: lavoratori turistici, partite Iva, giovani con contratti occasionali e precari, piccole imprese.
Con questa finalità, per l’Italia e l’Europa la politica monetaria non rientra nel novero delle leve attivabili. Ricordiamo tutti i moniti di Draghi, che invitava – in tempi non sospetti – gli Stati a una politica fiscale più coraggiosa, sostenendo che la faretra della Bce fosse ormai vuota.
Bisogna quindi guardare alla politica fiscale, al ruolo dello Stato in due momenti distinti: politiche fiscali emergenziali di breve periodo e linee d’azione capaci di rilanciare la crescita quando tutto questo sarà finito.
Nel breve periodo, è indispensabile attuare una politica tributaria che agevoli partite Iva, piccoli imprenditori, commercianti, ristoratori, ad esempio posponendo il pagamento dell’Iva trimestrale o distribuendo l’imposizione 2020 negli esercizi successivi. Per quanto concerne, invece, il lungo periodo, sarebbe auspicabile la messa in atto di un ambizioso, ma sicuramente indispensabile piano di investimenti, che faccia da leva per far uscire il Paese – e l’Europa intera – dalla crisi causata dal coronavirus e, contemporaneamente, combattere quel cambiamento climatico che ora è pericolosamente scivolato dalla shortlist delle problematiche più impellenti.
Il mantra di The European House è: senza investimenti non c’è lavoro, senza lavoro non c’è crescita, senza crescita non c’è futuro: mai come in questa occasione dobbiamo pensare al lungo periodo, e iniziare a pensare a come ripartire.