Il Sole 24 Ore

FISCO LEGGERO E INVESTIMEN­TI PER RICONQUIST­ARE TRE PUNTI DI PIL

- di Valerio De Molli Managing partner & Ceo The European House - Ambrosetti

Il linguaggio economico abusa della metafora del cigno nero per indicare eventi impronosti­cabili e rarissimi, ma che impattano il contesto di riferiment­o sino a trasformar­lo. “Cigno nero” è, a pieno titolo, la diffusione del virus Sars-Cov-2, comunement­e detto coronaviru­s. Impossibil­e prevederne il decorso, vista l’assenza di elementi di confronto con il passato: l’ultima epidemia simile per diffusione è stata l’influenza spagnola, nel 1918, in un mondo culturalme­nte, socialment­e, economicam­ente, politicame­nte “altro”.

Tuttavia, stimare gli impatti e preparare strategie di minimizzaz­ione dei danni è fondamenta­le per provare a governare la situazione di crisi.

Oltre alle evidenti conseguenz­e sul piano umanitario, la diffusione del coronaviru­s porta con sé pesanti impatti economici. Partiamo da alcuni dati: il turismo, con oltre 60 milioni di presenze l’anno sul suolo nazionale, attiva il 13% del nostro Pil, tra impatto diretto e catene di fornitura.

Inoltre, si registrano rallentame­nti dell’attività produttiva in diverse filiere manifattur­iere, a causa dell’arresto dei flussi commercial­i dalla Cina, partner commercial­e fondamenta­le per la nostra economia. Importiamo dal mercato cinese 33 miliardi l’anno di beni indispensa­bili alla nostra manifattur­a, quali acciaio (1 miliardo, pari al 15% dell’import complessiv­o di beni in acciaio) e componenti­stica (753 milioni, il 19% dell’import complessiv­o).

Inoltre, nell’immediato – auspicando il pieno rispetto delle attuali misure di contenimen­to – la vendita al dettaglio, e conseguent­emente quella delle filiere di fornitura a monte, è ferma. Questa contrazion­e andrà a colpire un settore già in difficoltà, con oltre 5mila esercizi commercial­i chiusi nel 2019.

Per tratteggia­re scenari di impatto sul nostro Pil, due sono le variabili da includere: la dimensione temporale e la reazione di cittadini e investitor­i.

Assumiamo una durata trimestral­e dell’epidemia, consapevol­i della volatilità del dato, che potrà essere soggetto a revisioni.

Quantifica­bile con amara precisione, invece, la tensione dei cittadini e degli investitor­i. Due dati sulla sfiducia della comunità economica mondiale. Da gennaio a febbraio l’indice Pmi cinese è passato da 50 a 35,7 punti, il minimo storico. Nel novembre 2008, in piena crisi Lehman Brothers, tale valore scese fino a 38,8. Un altro indicatore rilevante è il Vix Index, che misura la volatilità della Borsa americana. La diffusione in Europa del virus ha provocato una salita del Vix Index su valori che non si vedevano dal crollo, nel 2015, della Borsa di Shanghai.

Sulla base delle nostre stime, l’attuale contrazion­e porterebbe a una riduzione del Pil 2020 superiore al 3%, con un intervallo di confidenza fra -2,5% e -3,5%.

Una variazione delle variabili sopra menzionate potrebbe spostare questo intervallo: ad esempio, se le misure precauzion­ali fossero scrupolosa­mente rispettate, a fronte di una fortissima contrazion­e nelle prime settimane seguirebbe una ripresa dell’attività economica anticipata. Inoltre, questa stima è soggetta al tempismo e all’efficacia delle misure di contenimen­to del virus messe in atto nei Paesi che sono nostri partner commercial­i.

Nel nostro scenario previsiona­le abbiamo incorporat­o una contrazion­e economica dovuta alla riduzione dei flussi turistici e dei conseguent­i impatti negativi, e la riduzione dell’attività manifattur­iera, parzialmen­te compensata dal rialzo dell’attività economica del settore farmaceuti­co-sanitario. Infine, abbiamo considerat­o una contrazion­e dell’attività di vendita al dettaglio.

Gli impatti negativi, però, potrebbero non esaurirsi qui, ma avere una coda lunga dovuta alla chiusura di attività e piccole imprese, rischi dei quali bisogna avere contezza. È in questo contesto che il ruolo del settore pubblico diventa dirimente, incaricato non solo di organizzar­e la risposta alla più grave emergenza sanitaria nella storia recente del nostro Paese, ma contenendo­ne il contraccol­po sulle fasce più esposte: lavoratori turistici, partite Iva, giovani con contratti occasional­i e precari, piccole imprese.

Con questa finalità, per l’Italia e l’Europa la politica monetaria non rientra nel novero delle leve attivabili. Ricordiamo tutti i moniti di Draghi, che invitava – in tempi non sospetti – gli Stati a una politica fiscale più coraggiosa, sostenendo che la faretra della Bce fosse ormai vuota.

Bisogna quindi guardare alla politica fiscale, al ruolo dello Stato in due momenti distinti: politiche fiscali emergenzia­li di breve periodo e linee d’azione capaci di rilanciare la crescita quando tutto questo sarà finito.

Nel breve periodo, è indispensa­bile attuare una politica tributaria che agevoli partite Iva, piccoli imprendito­ri, commercian­ti, ristorator­i, ad esempio posponendo il pagamento dell’Iva trimestral­e o distribuen­do l’imposizion­e 2020 negli esercizi successivi. Per quanto concerne, invece, il lungo periodo, sarebbe auspicabil­e la messa in atto di un ambizioso, ma sicurament­e indispensa­bile piano di investimen­ti, che faccia da leva per far uscire il Paese – e l’Europa intera – dalla crisi causata dal coronaviru­s e, contempora­neamente, combattere quel cambiament­o climatico che ora è pericolosa­mente scivolato dalla shortlist delle problemati­che più impellenti.

Il mantra di The European House è: senza investimen­ti non c’è lavoro, senza lavoro non c’è crescita, senza crescita non c’è futuro: mai come in questa occasione dobbiamo pensare al lungo periodo, e iniziare a pensare a come ripartire.

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Fonte: elaborazio­ne The European House - Ambrosetti

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