Botti&Ferrari, l’importanza della tutela della proprietà intellettuale e industriale
Italia seconda potenza manifatturiera d’Europa: vero o falso? L’interessante punto di vista di un’affermata società di consulenza del settore
«Che l’Italia sia la seconda potenza manifatturiera d’Europa, subito dopo la Germania, ci viene ricordato quotidianamente - afferma Mario Botti, Founder e Senior Partner della Botti&Ferrari, società di consulenza in materia di Proprietà Intellettuale e Industriale che opera in Italia e all’estero - così come che i nostri imprenditori siano costretti a battagliare come leoni in un contesto economico sempre più complesso e articolato, senza grandi aiuti da parte della classe politica. Vero o falso? Tutto vero, ma è necessario prendere atto che molti dei nostri imprenditori non sono sufficientemente consapevoli dell’esistenza di uno strumento che la legislazione mette loro a disposizione, al fine di contrastare l’esproprio del patrimonio immateriale. Quello per intenderci costituito dalle idee, dalle metodologie e, più in generale, dal nostro saper fare. Questo esproprio silenzioso è in atto da parte di una miriade di entità economiche sia di Paesi nostri competitor, sia di Paesi più o meno emergenti».
Ciò a cui fa riferimento Mario Botti sono gli strumenti che la Proprietà Industriale mette a disposizione per tutelare le invenzioni industriali, i modelli, i modelli ornamentali, i marchi e il know how delle imprese italiane ma a cui la maggior parte di queste non ricorre come potrebbe o dovrebbe.
A supporto di questa riflessione vi sono i dati che derivano dal Rapporto Annuale emesso dall’EPO (European Patent Office) che ogni anno pubblica statistiche e dati comparativi sui maggiori depositanti di domande di brevetto europeo.
Poiché questo materiale viene dato in stampa nel mese di aprile di ogni anno, i dati al momento a disposizione sono relativi al 2018, ma è possibile reperire quelli del 2019 a breve su web
(https://www.epo.org/about-us/annual-reportsstatistics/annual-report.html)
- vedi tabella 1. «Sebbene la foto dell’EPO sia relativa al 2018 - puntualizza Botti - è evidente che i depositi di domande di brevetto europeo si attestano a circa 180mila l’anno, che sono in crescita da un quinquennio di circa il 4% annuo e che i depositi delle società italiane, sebbene in crescita di un più modesto 0,9%, rappresentano solo il 3% del totale. Ovviamente l’Italia non può competere con colossi come gli Stati Uniti o la Cina, ma il confronto con la Germania, sia in termini assoluti che relativi, è decisamente un po’ impietoso. Come è possibile che la seconda manifattura d’Europa depositi solo un ottavo dei brevetti depositati dalla prima manifattura? Come è possibile che Paesi molto meno popolosi e con un PIL più modesto del nostro, come Olanda, Svizzera o Corea del Sud, depositino quasi il doppio delle nostre domande di brevetto europeo?». Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto il tessuto industriale italiano comprende una grossa porzione di piccole e medie imprese che hanno difficoltà a puntare sull’innovazione: i costi di R&D sono percepiti come troppo elevati, così come quelli per procedere alla brevettazione.
«A tutto questo - specifica Botti - si aggiunge il fatto che una buona strategia di innovazione richiede più competenze specializzate, non tutte necessariamente in house. In Italia sono ancora pochi gli esempi di network tra singole imprese o tra imprese e accademie, per poter parlare di sinergia tecnologica. Inoltre la forte connotazione famigliare che caratterizza molte delle imprese italiane, sebbene sinonimo di affidabilità e di continuità, si rivela spesso inadeguata per il mantenimento del passo in ambito tecnologico. La stessa formazione dei nostri manager, eccessivamente orientata al settore finanziario, non include una necessaria parte tecnica, utile per cogliere pienamente le opportunità di innovazione
e sviluppo presenti».
Le prospettive future circa l’italico ingegno
L’Italia risulta al ventesimo posto tra i Paesi più industrializzati in tema di produzione brevettuale, «come se gli italiani volessero mantenere lo stereotipo del popolo di Poeti, Santi e Navigatori, ma non quello di Inventori», chiosa Botti. In realtà le note positive ci sono: l’accordo sottoscritto dall’Italia con EPO già a partire del 2007 ha permesso di usufruire del Rapporto di Ricerca e dell’opinione preliminare di un esaminatore emessa su ciascuna domanda italiana, ovvero sui primi depositi nazionali che conferiscono a un richiedente un diritto di priorità. Ricevere il Rapporto redatto dall’EPO prima della scadenza di tale diritto (entro cioè 12 mesi dal primo deposito) consente di poter fare una previsione sulle concrete possibilità che la domanda di brevetto possa pervenire a concessione, e inoltre di estendere un diritto nazionale, depositando ad esempio una corrispondente domanda europea e/o internazionale a coprire le aree geografiche di interesse, o in ogni caso di fare scelte più oculate dal punto di vista degli investimenti.
Ma non solo: la recente legislazione sul Patent Box (l’agevolazione fiscale per redditi derivanti dall’uso di beni immateriali), ha favorito un incremento dei depositi brevettuali, nazionali e non, e una maggiore consapevolezza dell’opportunità di aumentare le immobilizzazioni immateriali.
«Ci risulta infine - precisa Botti - che diverse multinazionali straniere depositino brevetti con inventori di nazionalità italiana. Insomma, l’italico ingegno in parte è al servizio di queste multinazionali che prosperano anche grazie ai nostri ricercatori emigrati. Non sarebbe il caso di riportarli a casa? Gli appelli all’innovazione e alla relativa protezione che vengono rivolti con una certa insistenza dai vari operatori economici (come la stessa Confindustria) stanno lentamente permeando il substrato produttivo del Paese e dal nostro osservatorio possiamo riscontrare una certa inversione di tendenza, al punto che da circa due anni siamo letteralmente oberati di lavoro».
Andando ad analizzare
i dati statistici dei depositi di marchi comunitari effettuati sempre nel 2018 presso l’Ufficio Comunitario di Alicante (EUIPO), si scopre che l’Italia si attesta tra i primi Paesi per numero di depositi, a dimostrazione di una seppur più commerciale protezione del Made in Italy.
I primi 10 Paesi indicati hanno depositato il 71% dei circa 152mila marchi comunitari del 2018, ma a giorni saranno disponibili i nuovi dati 2019 sul sito:
https:// euipo.europa.eu/ ohimportal/it/annual-report.
«In questo contesto - conclude
Botti - le imprese italiane devono abituarsi a guardare con fiducia agli operatori del settore. Un bravo mandatario in brevetti e marchi può davvero dare un contributo speciale alla strategia di espansione aziendale, quale figura in grado di valutare l’area di libertà di movimento tra brevetti o marchi altrui e/o la possibilità di ricavare uno spazio di esclusiva mediante brevetti autonomi. Il mandatario parla la stessa lingua del ricercatore specializzato, ma è anche comunicatore con ampie conoscenze legali, oltre che trait d’union tra scienza e management sia per nuove aziende di derivazione accademica, come le start up, sia per quelle consolidate. Egli è un aiuto per cogliere al meglio tutte le potenzialità della ricerca e trasferirle al management». È quindi la sinergia tra aziende e mandatari di brevetti e marchi a proteggere le idee che hanno reso e rendono famoso nel mondo il Made in Italy.
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