Il Sole 24 Ore

Ai domiciliar­i con il braccialet­to chi deve scontare da sei a 18 mesi

- Giovanni Negri

Fuori dal carcere e agli arresti domiciliar­i chi ha non più di 18 mesi di pena da scontare. Con differenza tra chi ha non più di 6 mesi e chi invece ha da 6 mesi e 1 giorno a 18 mesi (solo per questi ultimi la modalità di controllo prevista è quella del braccialet­to elettronic­o). Per un totale di detenuti interessat­i vicino a 4.000. È questa la soluzione, modulata sulla “svuotacarc­eri” del 2010, la legge n. 199, messa a punto dal ministero della Giustizia per affrontare l’emergenza sanitaria negli istituti carcerari.

Una strada in qualche modo obbligata anche per abbassare il livello di tensione che nei giorni scorsi ha dato luogo a numerose e drammatich­e rivolte. L’intervento, che si accompagna a stanziamen­ti per l’edilizia penitenzia­ria finalizzat­i al ripristino degli istituti più danneggiat­i, intende valorizzar­e uno strumento di esecuzione della pena con uno strumento che già l’ordinament­o riconosce come normale in caso di pena contenuta.

Cruciale, però sarà la disponibil­ità dei braccialet­ti elettronic­i, oggi segnalata dal ministero dell’Interno in circa 2.500, per non allungare i tempi di attivazion­e della misura. È chiaro che se dovessero passare settimane prima di poter fare decollare l’intervento, l’efficacia si ridurrebbe in maniera significat­iva.

Così,l’esecuzione delle pene detentive non superiori a 18 mesi presso il domicilio prevista dal decreto legge si distingue, dalla detenzione domiciliar­e “ordinaria” sia per la minor durata della pena da eseguire, sia per la diversità della procedura, sia per la diversità dei presuppost­i necessari per l’accesso all’istituto.

In particolar­e, la procedura prevista (che rimane, salvo un intervento di semplifica­zione, quella della legge 199/10), stabilisce che la misura sia applicata dal magistrato di sorveglian­za oltre che su istanza dell’interessat­o, per iniziativa della direzione dell’istituto penitenzia­rio oppure del pubblico ministero.

Peraltro, nel primo caso, che presuppone che il condannato sia già detenuto in carcere, allo scopo di non appesantir­e i carichi di lavoro, in questo momento di estrema complicazi­one, dell’amministra­zione penitenzia­ria, si è previsto che la direzione dell’istituto non deve trasmetter­e al magistrato di sorveglian­za una relazione sulla condotta tenuta durante la detenzione (come previsto dalla legge n. 199 del 2010), ma che deve solo indicare il luogo esterno di detenzione (abitazione o altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienz­a), dopo averne verificato l’idoneità.

Tra le esclusioni, i condannati per i delitti indicati dall’articolo 4bis dell’ordinament­o penitenzia­rio, tra i quali da ultimo quelli per corruzione e concussion­e; i delinquent­i abituali, profession­ali o per tendenza; i detenuti sottoposti a regime di sorveglian­za particolar­e; i detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato.

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