L’emergenza spinge l’industria a riconvertirsi al biomedicale
La rincorsa. Bergamo e Lombardia in prima fila nel tentativo di dirottare le produzioni verso la realizzazione di mascherine. A giorni l’esito dei test sui prototipi per approvare le forniture
«Intanto produciamo: tremila pezzi oggi, 10mila domani. Le richieste sono pazzesche, qui la gente è disperata e noi proviamo a fare il possibile».
Monica Santini si porta avanti. In attesa che le mascherine realizzate dal suo maglificio ricevano l’autorizzazione regionale manda a regime la nuova produzione, realizzata in sinergia con un’azienda del distretto (Sitip) che fornisce il tessuto: impermeabile ma traspirante. In prima fila nell’emergenza, Bergamo si mette all’avanguardia nel tentativo di porvi rimedio, con più aziende del distretto tessile locale impegnate a riconvertire parte dei propri impianti per produrre mascherine protettive. In Lombardia sono decine le aziende avviate nel percorso. Vincolato da autorizzazioni che i in n media richiederebbero settimane o mesi di istruttoria e che invece ora sono ora accelerate al massimo, con il Politecnico di Milano al lavoro per dare una valutazione di sicurezza del materiale presentato dalle a aziende. zien de. CC omeo m eS Santini ant in iCCyclingyclingd dii Lallio, che può arrivare a 10mila pezzi al giorno. « Moltiplicabili per dieci - spiega l l’ad ’ad Monica Santini - potendo coinvolgere altri confezionatori del territorio». Tra i distretti del tessile, da Como a Prato, da Bergamo a Biella, sono un centinaio le aziende al lavoro per riconvertire parte delle proprie linee su questa produzione, abbandonata anni fa per l’impossibilità di mantenere margini per un prodotto a basso valore aggiunto. Eppure oggi preziosissimo, non solo negli ospedali ma nella vita di tutti i giorni, per andare al supermercato oppure per lavorare. Con numerose aziende impossibilitate a proseguire l’attività proprio per questo motivo. « Ormai ne abbiamo solo 20 - spiega sconsolata la bergamasca Miriam Gualini (carpenteria metallica a Bergamo, 100 addetti)- e a questo punto l’unica strada è quella di chiudere». Le singole regioni scendono così in campo per provare ad attivare produzioni locali di emergenza, puntando sul fatto che in alcuni casi la riconversione di alcuni processi può avvenire in tempi rapidi, con iter autorizzativi ora accelerati. «Noi ci stiamo provando - spiega Paolo Limonta - e se possiamo dare una mano lo facciamo». L’imprenditore del tessile lombardo, attraverso la controllata torinese Aunde, punta a riconvertire parte dell’attività per arrivare a 7mila-10mila pezzi al giorno. Con la possibilità tuttavia di superare il collo di bottiglia delle cucitrici delocalizzando in Serbia e Polonia l’output, potendo moltiplicare almeno per dieci le forniture. Al lavoro sono aziende in tutta Italia, nei distretti tessili e non sol solo. o. Dalla novarese Coccato&Mezzetti alla toscana Dreoni; dal gruppo Miroglio, alla Boncar di Busto Arsizio, alla comasca Canepa, alla mantovana Artemisia. O ancora aziende del bie bielllese: tra chi (Soft) ( Soft) offre la propria disponibilità a realizzare un tessuto compatibile con queste esigenze e realtà (Stamperia Alicese) che si candidano alla f fase ase di taglio e confezione, collo di bottiglia manuale dell’attività che nel tempo ha portato alla delocalizzazione di queste produzioni. «Se domani ci dessero il via libera - spiega il fondatore della bergamasca Tecnofilati Andrea Abati - potremmo produrre 10mila pezzi al giorno. Con fatica, peraltro, perché la richiesta di alcuni nostri filati particolari per i camici delle sale operatorie èg già iàr addoppiata e siamo in difficoltà a gestire gli ordini. Ad ogni modo le nostre 30 persone sono tutte al lavoro, con tutte le procedure di sicurezza attivate e personale distribuito in 15 stanze diverse. Noi ci siamo» siamo » .
Decine di imprese al lavoro, da SantiniCycling a Tecnofilati, da Limonta a Miroglio, ad Artemisia