L’Iran può sperare solo nella giovane età della popolazione
Il sogno di Donald Trump? Assestare un colpo così duro all’economia iraniana, ricorrendo alle sanzioni più dure di sempre, da costringere il regime di Teheran a cedere a nuovi negoziati. Pur avendo danneggiato duramente l’economia, Trump non è riuscito nel suo intento. Come del resto non ci sono riusciti i presidenti che lo hanno preceduto negli ultimi 40 anni.
Grazie alla vivace economia interna, alle crescenti triangolazioni con i Paesi vicini (soprattutto Emirati Arabi, ma anche Iraq, Oman, Qatar ed in parte Turchia) l’economia, pur sprofondando in una grave recessione (-9% nel 2019) ha comunque retto. I consumi interni hanno tenuto, i centri commerciali esibivano molte merci, e le aziende iraniane che usano manodopera pagata in rial e vendevano i loro beni in dollari nei Paesi vicini hanno realizzato grandi profitti. Lungi dal tornare alla normalità, l’economia si stava lentamente riprendendo.
Ma dove non hanno potuto le sanzioni americane, ha potuto il coronavirus. Non c’è Cina o Italia che tenga. La Repubblica islamica è in assoluto il Paese dove questo aggressivo virus si prepara a provocare danni incalcolabili: in termini di vite umane, e di danni all’economia. Al di là di qualche cargo di aiuti – peraltro inadeguati – provenienti dall’Oms e da qualche Paese amico come Russia, Turchia o Emirati, l’Iran è sigillato. Nessun commercio, né ufficiale, né semi-ufficiale, e neppure di contrabbando. L’embargo provocato dal virus è stato totale.
La situazione ha già assunto dimensioni drammatiche. I dati ufficiali parlano di oltre 16mila contagiati e mille morti. La verità, tuttavia è un’altra. I contagiati sarebbero almeno cinque volte di più, se non molto peggio. Mancano tamponi, respiratori, farmaci di base. Gli ospedali sono al collasso. Ci sarebbe un drammatico bisogno di attrezzature mediche. Ma le sanzioni hanno reso quasi impossibili le transazioni internazionali per un sistema bancario che già viveva grandissime difficoltà.
L’Iran ha poche frecce al suo arco per affrontare questa crisi. Forse per questo le autorità si sono limitate a raccomandazioni: state in casa, evitate i viaggi. Ma hanno perseverato nella loro strategia, incomprensibile per il resto del mondo: nessuna quarantena, in nessun luogo del Paese. Nè ora, ne dopo, come annunciato dal presidente Hassan Rouhani. Niente restrizioni nemmeno agli spostamenti.
Ma questo non è un periodo normale. Oggi inizia Nowruz, il capodanno persiano. Il periodo in cui 80 milioni di persone si spostano in ogni angolo del Paese per raggiungere i propri cari e trascorrere le due settimane di feste. Fino a ieri i bazar erano aperti. E se non affollati, non erano certo deserti. Lo stesso vale per gli altri esercizi commerciali. L’economia, insomma, va avanti.
La gestione dell’epidemia sta però diventando problematica, in ogni settore. Ancora di più nelle carceri. E per evitare altri focolai il regime ha annunciato una decisione senza precedenti: avrebbe finora rilasciato 85mila detenuti, inclusi anche quelli in carcere per motivi politici. Si tratta di quasi la metà di tutta la popolazione carceraria (185mila detenuti) . Le disastrate finanze pubbliche non sono in grado di offrire un supporto reale per l’emergenza e venire in soccorso dell’economia, poi per farla ripartire. Le misure annunciate dal presidente Rouhani - rinvio di tre mesi del pagamento di tasse , bollette, e sussidi ai più poveri - appaiono inadeguate ad affrontare l’emergenza. Il regime sembra tuttavia determinato a non scegliere il lockdown. Il Paese collasserebbe. La scelta “quasi obbligata” di Teheran somiglia ad una sorta di immunità di gregge. Sperando che in questo giovane Paese, dove il 60% della popolazione ha meno di 40 anni, il virus sia meno letale e l’imminente clima più caldo possa divenire un alleato .
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Il 60% degli 80 milioni di abitanti ha meno di 40 anni. Inadeguate le infrastrutture sanitarie